martedì 21 giugno 2016
Ieri, le Idi di giugno, mi sono trovato per caso davanti al tempio dedicato alla Madre di Dio (una volta a Minerva), a Roma, vicino al Pantheon. Mentre leggevo le parole incise sotto l'elefante che sostiene l'obelisco, e meditavo, mi è arrivato all'orecchio il suono di un flauto, prodotto da un flautista nascosto in qualche angolo. In verità, questo suono fastidioso percorreva tutta piazza della Minerva. Mi sono girato qua e là e ho visto alla fine un certo medicante, fornito d'amplificatore e di flauto traverso, così che tutti, anche non volendolo, dovessero ascoltare la sua musica. Poco dopo, riguardando i Fasti, ho notato i pensieri d'Ovidio sulle stesse Idi di giugno. Invocato l'aiuto di Minerva, il poeta chiede: «Perché il flautista avanza errante in tutta la città? Che gli significano le maschere, che le lunghe vesti?». Minerva, la dea delle arti, risponde dicendo che un tempo i flautisti si vedevano e si sentivano ovunque nella città. Ma in seguito arrivò un momento che «interrompeva all'improvviso l'attività della gradita arte», perché, per ordine dell'edile, fu proibito ai flautisti di suonare nella città. Perciò questi cercarono rifugio a Tivoli, una città della Sabina. E allora Roma mancava all'improvviso del suono del flauto. Finché un certo giorno, questi flautisti, ubriachi e sonnolenti dopo un banchetto in paese, e spinti in un carro dal loro "padrone", credettero di star tornando di nuovo a Tivoli. Ma, appena svegliati, scoprirono che erano tornati invece a Roma e, celandosi dietro maschere e costumi, cominciarono a suonare di nuovo, e nessuno sapeva chi fossero. zLa cosa piacque, e nelle Idi è permesso fare uso di un nuovo ornamento e cantare parole giocose su vecchi ritmi». Perciò mi chiedo se quel flautista che ho visto in piazza della Minerva alle Idi di giugno sia stato un discendente dei flautisti dei quali Ovidio ci narra. Ne dubito. Ciò nonostante, siccome ho cercato invano di meditare davanti a Santa Maria sopra Minerva, non ho dubbio che i musicisti a Roma debbano essere regolati oggi come una volta. Lo stridore dei loro strumenti è quasi insopportabile. Sia al mercato, sia al ristorante, sia in treno che sulla strada, siamo circondati incessantemente dal rumore di quelli che suonano strumenti. E allora? Dovremmo cacciarli a Tivoli? Assolutamente no. Se lo facessimo, tornerebbero in città, nascosti da maschere e costumi. Invece, se la loro musica non ci piace, non diamo loro denaro. Troveranno altre città e daranno fastidio ad altri popoli.
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