mercoledì 22 settembre 2004
Pulisco la tomba di Monsignore perché era mio padre" Perché quelli come me lui li amava; non gli facevano schifo. Ci parlava, ci toccava, ci chiedeva, addirittura si confidava con noi. Se sapessi l'affetto che aveva per noi! Per questo gli pulisco la tomba; egli ha dato la sua vita per me. «Una mattina d'inverno, con il cielo carico d'acqua, un povero, vestito di cenci e coi capelli sporchi di polvere, sta pulendo con cura una tomba, con uno dei suoi stracci, sporchi di unto e di tempo. La lapide ora brilla, e lui sorride soddisfatto». Così racconta, nel suo libro A piedi (ed. Messaggero), p. Silvio Zarattini, gesuita, la storia di un povero della città di El Salvador che va a pulire la tomba di mons. Romero, l'arcivescovo di quella città, assassinato la sera del 24 marzo 1980, mentre celebrava la Messa. Le parole di quel povero sono la costante testimonianza che i miseri danno nei confronti dei santi. Hanno cominciato con Cristo: i rifiutati dalla società perbene e benestante sapevano di essere non solo accolti (un po' di compassione la possono provare tutti) ma amati. E l'amore vuol dire parlare, toccare, chiedere, confidarsi e non solo mettere la mano al portafoglio. Anzi, in molti casi l'"offerta" può essere persino offensiva per il modo con cui è fatta e può essere un facile alibi per placare la propria coscienza. E', invece, l'attenzione, la fraternità, l'ascolto, il mettersi alla stessa altezza, guardandosi negli occhi, senza marcare le distanze, il segno autentico dell'amore per i poveri. Un gesto semplice, fatto nel segreto e «il Padre che vede nel segreto ti ricompenserà» (Matteo 6, 4).
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