mercoledì 21 settembre 2016
Èquasi a casa mia la romanica basilica di Santa Maria Assunta di Calvenzano. Dell'anno 1000, insistente sulla sua progenitrice, è fatta di quel mattonato rosso, che al sole piacerebbe avere quando tramonta. Fu dimora per cinque monaci, provenienti da Cluny, la Cluny divenuta stalla per i cavalli con Napoleone ed ora rudere amato, presso la comunità di Taizé. Quell'abbazia, come è noto, era depositaria inventiva della liturgia mortuaria, che ancor oggi lascia tracce nei nostri riti funebri. Di Calvenzano, ogni volta che ne parlo, nessuno ne sa mai qualcosa. La ricordo, ragazzo, usata come granaio ed ho in mente il topo che se la filava, sazio di granoturco odoroso. Bellissima è la facciata, con tracce incongruenti fra loro di interventi di restauri successivi fino al metafisico sorprendimento. È come un viso dalle molte valorose cicatrici di battaglie ben superate. L'archivolto in pietra illustra la storia dall'annunciazione fino ad Erode che muore a bagno in un bidone per ridurre gli spasmi del suo male. Ricorda il Marat di David. Una lapide indica l'assassinio di Severino Boezio, cui ruppero, con una sorta di garrota, la testa che aveva pensato il De consolatione philosophiae. È un errore, Boezio non morì qui ma la forte memoria di lui conserviamo fra di noi.
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