sabato 27 ottobre 2018
In questo mese di ottobre più volte si è ricordato alla televisione e sulla stampa, il sacrificio sofferto degli ebrei nei paesi d'Europa. Nel guardare le riprese fatte nei campi di sterminio appena aperti dalle forze militari Alleate non si riesce ad accettare nemmeno l'idea che tale barbarie sia stata promossa da popoli di cultura e storia europea. Non solo la Germania con la sua arte, la sua musica, ormai universale, ma anche quella parte d'Italia sotto l'ultimo agonizzante partito fascista. Le foto di famiglie trascinate con l'inganno a prendere con sé il meglio che avevano per partire dentro treni senza luce, con poca aria, senza cibo sono davvero poche per poter capire fino in fondo l'angoscia, la paura e infine l'orrore che hanno visto di fronte a loro. L'esercito russo che per primo arrivò ad aprire le porte di quello che era rimasto dei campi di concentramento nazisti, non ebbe il coraggio e la forza d'animo di descriverne la realtà con le fotografie. Questa è la ragione per la quale, negli anni, rivediamo sempre le stesse assieme a quelle che i nazisti avevano conservato, forse come reperti di guerra. La seconda guerra mondiale era stata così devastante nelle cose e negli animi che coloro che erano sfuggiti alla morte non potevano neppure fermarsi ad ascoltare il pianto e il dolore di chi aveva appena salvato il respiro dalla strage e dalla visione dell'orrore subito. I sopravvissuti, per anni, restarono in silenzio, tale era, ciò che avrebbero dovuto raccontare incomprensibile all'animo umano. L'euforia della libertà dalle guerre aveva rimosso, in un primo tempo, i ricordi del dolore, delle stragi e della morte. I morti infine ebbero le loro tombe e il popolo ebraico che cercava la sua terra, la ebbe quasi in silenzio, non certa e mai accettata da coloro che l'avevano occupata da secoli. Ricordo bene gli anni del dopoguerra quando lavoravo nel piccolo studio, accanto a quello di mio padre, primo ministro dei governi della Ricostruzione. Bussava allora alla mia porta un ebreo polacco che faceva da tramite con i suoi concittadini mentre fuggivano dalle terre europee, sotto il dominio dell'Unione Sovietica. Essi cercavano di passare attraverso l'Italia per raggiungere la Palestina e avevano bisogno di un permesso anche quando erano privi di documenti. Prendevo allora i loro nomi e passandoli sotto le mani di mio padre dicevo: «Papà, questi vanno nella loro terra. Non hanno altro». Così ottenevo la firma del presidente del Consiglio italiano per questo popolo che cercava il posto dei suoi avi. Mi è rimasto un piccolo libro di salmi ebraici che mi venne, dopo anni, regalato a ricordo di quel tempo. Vi è una splendida dedica che dice: «Questa edizione è dedicata ad Alcide De Gasperi che sta lavorando indefessamente per l'umanità con amore, energia e profondo sentimento della eterna dottrina, senza nessuna differenza tra le nazionalità cui gli uomini appartengono. Il Padre del Cielo, Signore del mondo, dia reale pace all'umanità caduta nel caos. E possa venire il tempo, come era stato predetto, nel quale i popoli del mondo possano per lungo tempo non combattersi l'uno contro l'altro, quando tutti gli spiriti innalzeranno un coro di lodi a Dio».
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