mercoledì 1 ottobre 2003
Signore, suoi tuoi altari più d'una rosa fresca ama brillare. A te essa si dona. Ma altra cosa io sogno. È di sfogliarmi!" La rosa sfogliata si getta senza cura in braccio al vento, si dà semplicemente per più non essere. Gesù, per amor tuo ho prodigato la vita e il mio avvenire. Agli occhi dei mortali come rosa appassita devo morire! Nello sfogliarmi voglio provarti che io ti amo. E vorrei addolcire i tuoi estremi passi sopra il Calvario! Santa Teresa di Lisieux, celebrata oggi dalla liturgia, è la santa che ha incantato anche uno scrittore ebreo come l'austriaco Joseph Roth (1894-1939) che l'ha messa al centro dell'autobiografica Leggenda del santo bevitore (1939), divenuta anche un bel film di Ermanno Olmi (1988). Teresa di Gesù Bambino, come si era fatta chiamare nel Carmelo, non ci ha lasciato solo testi di straordinaria intensità spirituale; ci ha anche offerto poesie di delicata fragranza come nel caso di questo canto della rosa. L'idea che vi soggiace è suggestiva. Teresa non vuole essere una rosa fresca che sta solennemente sull'altare con tutto il suo profumo e coi suoi colori brillanti. Vorrebbe, invece, essere una "rosa sfogliata", ormai consumata, che si disperde al soffio del vento, che "si dà semplicemente per più non essere". È questo il vero segno dell'amore, quando un'esistenza si consacra totalmente a un Altro, giungendo fino alla morte di se stessa. C'è indubbiamente una più intima radiosità in una madre che ha le mani ruvide, i capelli un po' scomposti, la faccia affaticata rispetto all'artificiosa e fredda bellezza di una fatua donna televisiva. Quella che Teresa di Lisieux propone è la legge del seme che deve stare nell'oscurità a marcire, ma che solo così diventa fecondo di vita (Giovanni 12, 24).
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