martedì 23 ottobre 2018
Il calcio non dovrebbe essere un'opinione. Il bar sport - nido delle opinioni ove a volte crescono e maturano politici e telecronisti, voci & voci - sfiora le diciassette regole, il più delle volte per contrastarle ma poi s'adatta a subirle perché mai s'è vista un'impresa così grande, potente e ricca (la terza del Paese) esser guidata da tanta semplicità. Diciassette regole che alla fine determinano anche la qualità di chi le impone (arbitri e istituzioni) e di chi le subisce. A Napoli hanno scoperto che per alcune sue caratteristiche Ancelotti è o aspira a essere Masaniello, un capopopolo rivoluzionario ancorché borghese d'origini contadine: perché rispetta le regole ma non si piega all'autorità della Juve nè a quella del fatturato; perché non
gira con la targa del modulo: si narra ch'egli abbia esordito con il 4-4-2 emiliano e esibizionista per poi rifugiarsi nel 4-3-2-1 che divenne anche pacioso albero di Natale milanese, scombinato peraltro da eccessi offensivi del 4-3-1-2, per diventare 4-3-3 londinese ma con giudizio, 4-2-3-1 parigino e infine esplosivo 4-3-3 madrileno, come se i moduli fossero soggetti agli uomini non solo per caratteristiche tecniche ma esigenze geopolitiche. Al Bayern rispolvera un 4-2-3-1 versione teutonica e finalmente a Napoli torna l'audace quattrotrettré con mandolino e putipù. E dicono: copia Sarri. Incompetenti. Quando Sarri arrivò a Napoli con le sue formule sanamente provincialotte fu subito perdente, la sua abilità fu nel convertirsi in fretta: al 4-3-3 dell' Ancelotti Real. Chi oggi osi ancora il confronto fra il geometra Sarri e l'archistar Ancelotti non capisce di calcio. Così come colui che prendesse sul serio l'evoluzione tattica sopra descritta, tutte balle, tutti appunti di gioco presi da quei tecnici che invece di controllare la partita imbrattano quaderni e taccuini. Carlo Ancelotti, signori, è il grande allenatore che non muove i pedatori sulla carta ma sul campo; è il sacchiano antisacchiano che adegua la squadra al nemico e fin dalla vigilia di studio lo affronta, l'aggira, lo blocca, fino a sconfiggerlo. La rivoluzione consiste nella totale libertà di modulo e di ruolo, alla faccia delle penose recite numeriche delle “seconde voci” che uniscono concetti aritmetici alla narrazione spesso favolosa. Parlai una volta di questa insopportabile moda di “dare i numeri” a un anarchico elegante, Bruno Pesaola, che mi disse: «Anche io, amigo, so mettere in campo i giocatori a 3 o a 4 in difesa, a 5 o a 3 a centrocampo, a 3 o a 2 in attacco, ma poi se mueveno, se mueveno...». Voleva far ridere ma in realtà gli allenatori di classe preparano la partita alla vigilia e la “leggono” poi sul campo, muovendo i giocatori dai loro ruoli tradizionali, se necessario - Insigne insegna - così ottenendo squadre sorprendenti come il Napoli che ha perso dalla Samp a Marassi perché Giampaolo lo ha...sorpreso.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI