sabato 31 agosto 2002
La scarpa che va bene a una persona sta stretta a un'altra: non c'è una ricetta di vita che vada bene per tutti.A fare questa considerazione è uno dei padri della psicoanalisi, Carl Gustav Jung, nel suo saggio L'uomo moderno alla ricerca di un'anima. La trovo citata in un settimanale tedesco che svolge un'inchiesta sui modelli di vita nella società contemporanea. Si parte proprio da questa osservazione per giungere a una conclusione antitetica: l'omologazione, favorita dalla comunicazione di massa, ha imposto «ricette di vita» comuni. Non c'era sicuramente bisogno di un'inchiesta per sapere che si procede a gregge: basti solo esaminare certa moda dei giovani e il loro linguaggio (ma questo, più o meno, vale anche per gli adulti).E' facile capire anche che Jung ha torto e ragione al tempo stesso. Ha torto, perché esiste un tessuto comune di umanità, perché ci sono valori permanenti universali, perché il bene e il male non si devono mai ribaltare secondo le situazioni e le convenienze. Ma ha fortemente ragione, perché ci rimanda alla singolarità della persona, anzi, di ogni persona, all'identità dell'individuo, alla molteplicità delle esperienze. E' per questo che una morale genuina dev'essere ferma nei principi e fissa sui valori oggettivi, ma dev'essere rispettosa delle coscienze e capace di incarnare con rigore ma anche con comprensione e misericordia quei principi e quei valori nella concretezza della vita di ciascuno. Insomma, come diceva lo scrittore americano Oliver W. Holmes (1809-1894), «la vita è come dipingere un quadro, non come tirare una somma».
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