giovedì 30 gennaio 2020
Vorrei spezzare una lancia in favore di una parola ingiustamente collocata tra i termini antipatici, pesanti e minacciosi: parlo della parola “responsabilità”, ritenuta insieme necessaria e temibile. È un termine che, se collegato alle relazioni, richiama l'idea di rapporti obbliganti, che possono togliere libertà e leggerezza alla vita. Fra tutte le scelte che impegnano la nostra responsabilità, quella di sposarsi, o ancor più quella di mettere al mondo dei figli appaiono oggi come le più problematiche. A questo proposito, i media ci informano che è in costante aumento il numero dei “single” e che stare bene con se stessi è l'imperativo dell'anno. L'obiettivo sembra quello di essere liberi da ogni responsabilità verso chiunque al di fuori di sé, per godere del piacere di relazioni sempre nuove e sempre emozionanti.
Ma se la relazione uomo/donna riesce a sfuggire almeno in parte alle strette di una responsabilità definitiva scegliendo relazioni fluide, il legame tra genitori e figli continua a rimanere un ambito di inevitabile e definitiva responsabilità, perché è un legame in se stesso inscindibile. La percezione di questa verità è tra i motivi più importanti della denatalità attuale: suscita infatti molta ansia sentire che la nascita di un figlio rappresenta un cambiamento diverso da ogni altro, perché la sua vita (anche quando lo abbiamo cercato/voluto) ci mette a confronto con l'ignoto, l'imprevedibile e il definitivo. Un figlio non può mai rientrare nei nostri progetti di auto-realizzazione, perché è una persona dotata di una propria volontà e libertà; accoglierlo significa accettare un'avventura che non potremo controllare se non in minima parte, e che potrà esporci alla gioia ma anche al dolore, a soddisfazioni ma anche a frustrazioni. Un figlio cambia la vita senza ritorno e chiede di accettare il rischio di una novità vera che, pur originando da noi, non potremo mai controllare completamente. Metterlo al mondo è una grande responsabilità.
Ma davvero la responsabilità è una cosa così negativa e terribile? L'etimologia della parola non è affatto minacciosa: responsabilità è un sostantivo che prende origine dal verbo “rispondere”, una delle parole centrali e più belle della comunicazione e della relazione. Prendersi la responsabilità di qualcosa o di qualcuno significa rispondere a una chiamata. Ascoltare e rispondere rappresentano il cuore di ogni relazione pienamente umana, a partire dalla nascita. La condizione umana è fragile: nasciamo inermi, bisognosi di tutto, incapaci di provvedere a noi stessi; il pianto del neonato è il suo primo appello al mondo: una chiamata che chiede come risposta l'adozione a figlio. Senza nessuno che sia per lui padre e madre, il bambino rimarrebbe profondamente solo, soggetto soltanto alle leggi del proprio bisogno.
Si diventa dunque davvero figli dal momento in cui qualcuno si assume una responsabilità definitiva nei nostri confronti. Ma non si tratta solo di una responsabilità individuale, quanto piuttosto di una catena di responsabilità legate tra loro: quella del padre verso il bambino che nasce, ma anche verso la donna che lui ha reso madre; quella della madre verso il figlio che ha partorito e ha bisogno di lei, ma anche verso l'uomo che l'ha resa madre. Questa catena di relazioni è ciò che fonda la famiglia: un luogo in cui ognuno “risponde” all'altro e dell'altro facendosene carico nel tempo e costruendo un legame che chiede di consolidarsi, per poter garantire a tutti i suoi membri cura, protezione, sviluppo. Questa catena di relazioni fatte di continui appelli e di continue anche se imperfette risposte è anche ciò che da sempre protegge l'essere umano nel modo migliore dall'esperienza della solitudine e dalla paura della morte; prendersi la responsabilità l'uno dell'altro accettando il legame rimane dunque la migliore delle scelte, malgrado le inevitabili difficoltà.
Giova forse a questo punto ricordare che, anche se in inglese la parola “single” risuona leggera e piacevole, in italiano il suo significato letterale è “solo, singolo, separato, individuale”, tutti termini che non risuonano affatto altrettanto divertenti. L'esperienza di ogni giorno ci insegna che nella vita concreta delle persone i legami mantengono ancora tutto il loro valore, e che la cura spesa nel mantenerli e farli fiorire non si è mai rivelata un tempo sprecato.
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