La prima comunione in carcere e le prospettive che si ribaltano
mercoledì 17 luglio 2019
La celebrazione di prime comunioni e cresime non fa, di solito, notizia, neppure se avviene in una comunità atipica come è quella di un carcere. È solo grazie alla sensibilità di Alessandra Bialetti se disponiamo di una cronaca digitale quasi in diretta della celebrazione avvenuta a Rebibbia domenica scorsa, presieduta da uno dei vescovi ausiliari di Roma, monsignor Gianrico Ruzza. La si trova sul blog di don Mauro Leonardi "Come Gesù" ( tinyurl.com/y5dfuhds ), dove l'autrice, che di professione (e, mi pare, anche per vocazione) fa la consulente familiare, condivide regolarmente storie diverse purché mostrino, come direbbe lei stessa, un Cristo viandante accanto all'uomo. In quelle dal carcere, e soprattutto nell'ultima, gli spunti di riflessione per i cristiani che vivono "fuori" non si contano, e sono tutti sotto il segno del rovesciamento di prospettiva. Lo Spirito Santo che porta nel proverbiale «fresco» dei detenuti «il fuoco che brucia ciò che va buttato via». Un passo - quello di ricevere i sacramenti dell'iniziazione cristiana - che fuori dal carcere è normale e dentro diventa «straordinario», scelta «matura, pensata, desiderata, attesa, una scelta forte» e per nulla strumentale, giacché «non farà tenerezza al giudice». L'emozione di chi «non dorme da giorni in attesa di questo giorno» e il suo contrasto col «torpore liturgico» di cui spesso soffrono le nostre Messe parrocchiali. I figli piccoli che accompagnano i padri a ricevere i sacramenti e non viceversa. I padrini e le madrine (la stessa Alessandra Bialetti è una di loro) che, mentre faticano a circondare le spalle dei loro figliocci, misurano meglio di chiunque altro la grandezza della scelta di ricevere la prima comunione e la cresima e poi tornare in cella. Dove li aspetta un «cammino diverso», perché «Cristo che li è venuti a cercare nel nulla e dal nulla li vuole tirare fuori» chiederà ragione «di quella speranza che ha radicato nei loro cuori».
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