sabato 10 aprile 2010
Scrive suor Germana dal suo convento dalle mura antiche cresciuto sul pendio di una montagna, una lettera con gli auguri di Pasqua che leggo solo oggi. «Ho un peso sul cuore: come dire Buona Pasqua con quello che sta succedendo in questo nostro mondo? Se allarghiamo lo sguardo all'intera umanità sembra sempre più difficile trovare il luogo ed il momento per scambiarci auguri di serenità e di pace. E più i fatti dolorosi, le persone coinvolte e la sofferenza si avvicinano, più ci sconvolgono e scuotono anche la fede. Chi muore per le bombe, chi muore per la fede, chi vittima dell'aids e delle fame, chi muore nel terremoto, chi appena nato, chi muore per la velocità, chi per l'alcool... Eppure Pasqua è un passaggio che di anno in anno segue un percorso che viene da lontano e ci porta molto al di là di quanto possiamo immaginare, desiderare, sperare: una vita oltre la morte, una vita senza fine... Utopia, sogno? La scelta di credere o non credere è così personale e profonda da dare un senso pasquale a tutta la nostra esistenza. Per questo auguro una buona Pasqua nel senso originale che è quello che ancora oggi risponde alle nostre speranze anche in mezzo ad una realtà che sfida la nostra fede». È l'accettazione di un dolore da condividere. Un piccolo lamento, ma anche una mano tesa dietro le sbarre, oggi più sottili di un tempo, per ricordarci che anche per noi c'è sempre viva la preghiera di quelle giovani donne che anni fa hanno riaperto il vecchio convento abbandonato. Si racconta che, scesero dal treno, attraversarono a piedi il paese in mezzo ad una folla di gente che, prima silenziosa e meravigliata della loro giovinezza che il velo non sapeva nascondere, scoppiò in un battimani. Diventarono lo scudo contro l'ira di Dio per i peccati degli altri. Quando dalle case del paese raccolte attorno al fiume o sparse nella vicina campagna c'è chi ha un dolore, una delusione, una pena nel cuore, lascia un biglietto in una cassetta sulla porta del convento con la richiesta di una preghiera. Allora è certo che si pregherà per la sua pena, perché è questo il luogo dove dimora la carità e la speranza. Anche De Gasperi salì fino al convento dove una volta dimoravano i frati oggi scomparsi. Guardò la valle che amava e da quel balcone di rocce, di prati scoscesi e di boschi ebbe una preghiera per essere aiutato ad affrontare il rinascere di un popolo che gli era stato affidato in un momento tanto difficile. «Noi ci rivolgiamo pieni di fede al popolo italiano con il proposito non di governarlo, ma di servirlo in spirito di giustizia e di carità nel senso più profondo e più fraterno ». Il Concilio Vaticano II dirà anni più tardi che «l'esercizio dell'attività politica è una forma eminente di carità». Accanto a queste parole vogliamo ricordare anche uno scritto di Enrico Medi che voleva vedere la politica come un'arte: «essa è sapienza, equilibrio, fortezza, sanità, ma da tutto questo, se si unisce il senso lirico delle cose, nasce l'opera d'arte che affascina i popoli e costruisce la storia». Con uomini così anche la società era migliore. Oppure è la società di oggi che non sa cercare, né proporre uomini di questa levatura spirituale e di questo rispetto del bene comune da salvaguardare sempre anche contro la propria carriera personale?
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