mercoledì 29 gennaio 2020
A nessuno sfugge che ai nostri giorni il medico non gode più di un conclamato riconoscimento professionale, sociale ed economico. Da un lato l'ipertrofia burocratica, la tirannia del budget e la produttività clinica; dall'altro una accanita sorveglianza mediatica sui fenomeni di malasanità e il facile ricorso alle vie giudiziarie secondo gli eccessi della suing culture (la cultura del "fare causa") sviliscono e compromettono quella che è una delle professioni più importanti, più difficili e più nobili del mondo. Responsabilità immensa, quella del medico, che presiede alla nascita e alla morte, alla salute e alla malattia, e nelle cui mani prima che a Dio molti rimettono la propria vita. Ma anche potere immenso, quello evocato dal camice bianco, perché padrone non solo delle speranze e delle paure ma anche del portafoglio dei pazienti. Tutti chiedono al medico competenza, disponibilità e comprensione: egli infatti deve occuparsi non solo della malattia ma anche del malato, non solo della biologia ma anche biografia dei pazienti. Ma non c'è solo la deontologia del medico verso il malato: ci deve essere anche quella del malato e soprattutto dei suoi cari verso il medico. Pietas medici nel duplice senso: pietas del medico nei confronti della società, pietas della società nei confronti del medico.
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