giovedì 28 ottobre 2021
Non sempre siamo chiamati con il nostro nome. Spesso ci restano addosso i nomignoli dell'infanzia, incollati sulla pelle al punto da non poterli staccare. Così “Paolino” resta piccolo anche se è un gigante di 60 anni e “Chicco” in realtà non ha i brufoli da adolescente ma un dottorato e insegna in un'università straniera. Con gli oggetti capita lo stesso, o quasi. Prendete la macchinetta del caffè, quella degli uffici. È un mostro meccanico piuttosto bruttino, ma lo vezzeggiamo per la pause che ci consente, per i momenti di relax distribuiti, a pagamento, tra un impegno e l'altro. Sul suo conto sono stati scritti racconti e girate sitcom. La fama è giustificata. Perché intorno ai tavolini della zona ristoro, con il bicchierino di carta in mano, si abbozzano ordini del giorno di riunioni importanti, si discute di offese patite, ci si lamenta per il troppo lavoro. Soprattutto, mentre mangi uno snack o bevi una bevanda gasata, e sai che non dovresti, il collega diventa amico, e a volte testimone di nozze o padrino di Battesimo. Non so voi, ma io diffido un po' di chi non fa mai pause alla macchinetta e parla solo di lavoro. E se non sente il bisogno di uno stop con qualcuno, deve avere problemi seri. Che dite: proviamo a parlargli? Gli offriamo un caffè?
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