mercoledì 28 ottobre 2009
«L'ineludibile questione di Dio» è il tema e il titolo di un suggestivo confronto intellettuale fra Pietro Barcellona, filosofo del Diritto di osservanza comunista, e don Francesco Ventorino, filosofo e teologo che ha abbracciato la metodologia di don Luigi Giussani. Ne è risultato un volumetto di 184 pagine (Marietti 1820, euro 18) che, dopo la prefazione di Barcellona, comprende un ampio saggio per ciascuno dei due autori, più un'intervista a due voci, coordinata con intelligenza da Sergio Cristaldi. I due interlocutori, entrambi catanesi, sono amici e " pur condividendo la centralità dell'«ineludibile questione» " sono su sponde opposte dello stesso fiume. Don Ventorino, in merito al problema di Dio, passa in rassegna le posizioni di Feuerbach, di Marx, di Nietzsche, di Dostoevskij, di Kierkegaard, trovando per ognuna la coerente risposta della filosofia dell'essere (greca e cristiana), sviluppando il rapporto tra ragione ed esperienza. Lo spostamento dal piano metafisico a quello scientista, con «la negazione di un punto di riferimento trascendente (cui corrisponde sempre una negazione dell'io) ha prodotto anche " sostiene correttamente Ventorino " una nuova concezione della morale: essa sarebbe più una scienza del comportamento dell'uomo piuttosto che una scienza normativa dell'agire umano». Ne consegue, con Ratzinger, che «la coscienza è l'istanza che ci dispensa dalla verità», e chiude l'uomo in un soggettivismo senza speranza. L'argomentazione di Barcellona, che prova un salutare «senso di fastidio verso quanti si vantano soltanto del loro perfetto e appagato ateismo», è un mosaico di suggestioni attinte da Heidegger, da Castoriadis, da Maria Zambrano, da Agamben, dall'affascinante sincretista Raimundo Paniker (così si chiamava quando l'ho frequentato per un intero anno accademico, prima che cominciasse a firmarsi Raimon Panikkar), e da altri, mosaico da cui non emerge un pensiero autonomo e coerente. Il punto debole dei ragionamenti di Barcellona mi sembra la proposta di abbandonare «il carattere ossessivo del principio identitario di non contraddizione, che nega la possibilità di essere A e B». E aggiunge: «Occorre rendersi conto che Cristo, l'uomo-Dio, è la conferma del principio del "terzo incluso". E in un altro punto afferma: «Il principio di non contraddizione, che è un principio logico, è diventato, invece, un principio storico-sociale». Un momento: il principio di non contraddizione non è soltanto un principio logico, ma anche metafisico, perché proprio il principio identitario impedisce che A sia B nella realtà, non solo nel discorso. E Cristo non conferma alcun «terzo incluso«, bensì il principio identitario, dato che le sue due nature (divina e umana) afferiscono alla sua unica persona (divina). Nella metafisica classica i trascendentali dell'essere " l'unum, il verum e il bonum " non sono qualità, ma diverse angolature da cui l'essere può essere traguardato, con il pulchrum (trascendentale «coagulante», nella filosofia di Leonardo Polo) che li tiene insieme tutti e tre. Barcellona sembra non cogliere la differenza fra distinzione e separazione. Egli garbatamente rimprovera a Ventorino «il presupposto che la vera questione possa essere la verità e non l'amore», e antagonizza «il Dio della verità» al «Dio dell'amore». Il libro è uscito alla vigilia dell'enciclica Caritas in veritate, in cui Benedetto XVI spiega appunto come l'amore non possa essere disgiunto dalla verità, e viceversa. È l'amore senza verità a indurre in Barcellona " che nell'enciclica può trovare risposte alle sue perplessità " il commovente abbaglio di «pensare a Rimbaud bambino» di fronte alla semplicetta filastrocca composta dalla sua nipotina di sei anni.
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