sabato 15 luglio 2017
In un Paese nel quale il dibattito politico è (storicamente) concentrato più sulla tattica che sulle proposte di politiche concrete ciò che sta avvenendo in materia fiscale è una piacevole sorpresa. Per ritrovare una simile fioritura di pensiero e di strategie innovative nell'ambito della politica economica italiana dobbiamo risalire infatti a più di vent'anni fa, al primo scontro elettorale tra Prodi e Berlusconi, mentre negli ultimi anni le ferree gabbie (psicologiche e culturali, prima che politiche) dell'austerity europea e lo svuotamento dei serbatoi di pensiero avevano cancellato ogni possibile dibattito sul tema. È giusto, dunque, considerare una svolta positiva per la cultura politica del nostro Paese il confronto innescato prima (in ordine cronologico) dalla proposta firmata da Nicola Rossi dell'Istituto Bruno Leoni di una flat tax al 25% su persone fisiche, imprese e consumi, poi da quella lanciata da Matteo Renzi nel suo nuovo pamphlet "Avanti!" che prevede una riduzione delle tasse per famiglie e imprese da finanziare eliminando il Fiscal Compact e riportando il rapporto deficit-Pil al 2,9 per cento nei prossimi 5 anni.
Si tratta, va detto con chiarezza, di proposte molto diverse. Quella di Nicola Rossi è un progetto di rivoluzione fiscale affascinante e articolato, che si rivolge (implicitamente) al centrodestra e che propone di incidere sia sul fronte delle entrate dello Stato che su quello della spesa pubblica e dei servizi sanitari forniti ai cittadini. Ma è considerato da molti irrealizzabile e troppo regressivo: un'aliquota unica posizionata ad un livello così basso non era comparsa finora neanche nei sogni più arditi dell'ala più libertarian dei Repubblicani americani. La proposta di Matteo Renzi è più realizzabile, nonostante la freddezza mostrata dalla Commissione europea, darebbe finalmente una risposta di giustizia alle famiglie avrebbe effetti positivi sulla capacità di crescita del nostro Paese e contiene in sé una visione di Europa (il ritorno all'orizzonte Maastricht-Lisbona di matrice francese, rispetto al Fiscal Compact di ispirazione teutonica) più congeniale al ruolo storicamente giocato dall'Italia in Europa.
In entrambi i casi, tuttavia, bisognerebbe fare i conti con il "fattore M". M come Merkel e Macron: i due leader di questa Europa, impegnati in modo sempre più evidente nella costruzione di un nuovo asse franco-tedesco che rischia di non tutelare (per usare un eufemismo) gli interessi italiani. Ed M come mercati finanziari: pronti ogni giorno a valutare con grande attenzione ogni "variazione" nella nostra capacità di gestire il primo debito pubblico d'Europa. Se con i primi si possono usare le numerose armi della politica, con i secondi la strada è assai più stretta. Si può soltanto mostrare credibilità e coerenza, sperando che paghi.
@FFDelzio
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