La curva del calcio un mondo sottosopra
mercoledì 17 maggio 2023
«Sotto la curva, venite sotto la curva». È un coro che spesso si alza dalla zona più passionale dello stadio, rivolto ai propri calciatori e protagonisti, nel bene o nel male, in campo. Quel coro, infatti, può avere una doppia interpretazione: quella di condividere la gioia di una vittoria, oppure di chiedere conto di una sconfitta. Il calcio italiano aveva già scritto una pagina, probabilmente una delle più vergognose della sua storia e mai viste prima su un campo calcistico, nel 2012 allo stadio Marassi di Genova. Si disputava la gara Genova-Siena e sullo 0-4 la partita venne sospesa per lancio di fumogeni in campo e i calciatori genoani vennero costretti (o, diciamo, fermamente “invitati” dagli ultras) a togliersi la maglia da gioco e consegnarla in un clima surreale, come uno scalpo, ai tifosi. Certo è difficile replicare un livello tale di vergogna, ma sabato scorso a La Spezia è andata in scena, ancora una volta, un’immagine pessima del nostro calcio. I giocatori del Milan, campione d’Italia in carica e semifinalista di Champions League, sono stati richiamati dai loro tifosi sotto la curva dopo una sconfitta inattesa. Tutti lì, allenatore compreso, sull’attenti ad ascoltare chissà quale discorso motivazionale o reprimenda da parte dei tifosi. È stato detto che quel gesto, e la conseguente disgustosa fotografia che è circolata a rappresentarlo, non fosse altro che una testimonianza di sostegno. Strano modo quello di dimostrare sostegno attraverso un’umiliazione pubblica. Probabilmente è un metodo che mi sfugge, ma non mi sfugge il fatto che in una società sana (non mi riferisco a una società sportiva, ma proprio al patto sociale all’interno del quale ognuno di noi vive, studia o lavora) il rispetto dei ruoli e delle persone dovrebbe guidare ogni azione. Un singolo calciatore risponde ad un allenatore che è il responsabile delle prestazioni collettive di una squadra e che, a sua volta, risponde a una società, ovvero l’organizzazione chiamata a produrre uno spettacolo di cui possono godere tifosi e appassionati. Questi ultimi, certo, hanno il diritto di poter manifestare la propria gioia o il proprio disappunto. Possono creare un’atmosfera indimenticabile, possono seppellire di fischi i propri beniamini, possono acquistare il biglietto per andare allo stadio o smettere di farlo. Quello che non funziona è lo scavalcamento dei ruoli. Quello che non funziona è quando un Presidente vuol fare il tifoso o quando un tifoso vuol fare l’allenatore. Quello che non funziona è il mettere in scena, o l’accettare abbassando la testa, una pubblica umiliazione. C’è un modo di dire che si usa nelle scuole di leadership che, pur con i limiti di ogni sentenza, recita: «Elogia in pubblico e correggi in privato». Le ultime settimane, segnate dalla meravigliosa festa del Napoli, dagli ennesimi cori razzisti e da questa indecorosa scena che ha coinvolto un club dallo standing mondiale, ci dimostrano che ciò che diceva Albert Camus «non c’è un altro posto al mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio» va completato: più felice sì, ma talvolta anche più idiota. © riproduzione riservata
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