venerdì 14 giugno 2002
Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare come si è vissuto. È bella questa frase dello scrittore francese Paul Bourget (1852-1935) che, dopo una fase "laica", passò a un cattolicesimo fin rigido. La sua, comunque, è una considerazione facilmente dimostrabile: quante volte, dopo aver ceduto sui princìpi e aver costruito una vita tutt"altro che immacolata, si riesce piano piano a giustificarsi e a «chiamare bene il male e male il bene, a cambiare le tenebre in luce e la luce in tenebre, l"amaro in dolce e il dolce in amaro», come già denunciava il profeta Isaia (5, 20). Questo spunto di Bourget spinge dunque a una riflessione sulla coerenza. Ricordo una battuta di don Lorenzo Milani nelle sue Esperienze pastorali: «Un atto coerente isolato è la più grande incoerenza». È paradossale, ma rischia di essere vero. Molti credono di salvarsi la faccia presso Dio e presso gli uomini perché compiono un atto isolato, nobile e coerente con la morale e, se credenti, con la loro fede. Questo atto, invece, si ritorce contro di loro perché "incoerente" con un"esistenza votata al compromesso, al vantaggio immediato, all"accomodamento meschino. Non è un gesto, pur forte, che ti rende onesto, ma una scelta costante di vita che evidentemente è ben più impegnativa e costosa. Purtroppo ai nostri giorni il cambiar idea secondo l"utilità è un esercizio frequente e l"incoerenza è ormai segno di creatività. Già Torquato Tasso nella Gerusalemme liberata ammoniva che «nel mondo mutabile e leggero, costanza è spesso il variar pensiero» (V, 3).
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: