giovedì 14 novembre 2002
La buona fortuna degli uomini è spesso il maggior nemico che abbiano, perché li fa diventare spesso cattivi, leggieri, insolenti. Perciò, la maggior tenzone dell'uomo è il resistere a questa piuttosto che alle avversità. Come ieri, risalgo agli anni e alle memorie scolastiche, evocando oggi lo storico fiorentino Francesco Guicciardini (1483-1540) e i suoi Ricordi, composti tra il 1528 e il 1530, simili a una sorta di raccolta di massime e osservazioni di grande finezza psicologica. Ho adattato un po' l'italiano per rendere più immediatamente comprensibile la riflessione che, con originalità, denuncia il grave rischio che trascina con sé "la buona fortuna", cioè il successo. È facile, infatti, attaccarsi con passione alla prosperità, considerandola come il bene più prezioso e, insensibilmente, si diventa "cattivi, leggieri, insolenti". Non c'è bisogno di esemplificare perché, sia a livello di notorietà sia a livelli più modesti, chi ha avuto fortuna si trasforma ben presto in un vanesio, egoista, superbo. Per questo, Guicciardini esorta paradossalmente a combattere il successo: egli letteralmente parla di "paragone", che io ho reso con "tenzone", perché si tratta di un "confronto" serrato così da non lasciarsi attrarre da quelle spire che soffocano l'anima. Per certi versi è più benefica per lo spirito l'avversità che forgia la persona, ne esalta la forza interiore, fa brillare la virtù e la coerenza. È per questo che nel suo diario il pittore Eugène Delacroix (1798-1863) annotava: «L'avversità restituisce agli uomini tutte le virtù che la prosperità toglie loro».
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