martedì 21 agosto 2007
Il padre del deserto Titoes di Tabennesi insegnava: «Come possiamo custodire il nostro cuore se sono aperti la bocca e il ventre?».
A parlare così è uno degli antichi anacoreti egiziani del III secolo e la sua domanda cade ancora con la stessa forza soprattutto in questi giorni di vacanza, tempo di grandi abbuffate, capaci però di generare alla fine non pentimenti per gli sprechi e gli eccessi bensì soltanto preoccupazioni per la dieta e la linea. In una società consumistica è ovvio che il cibo sia una delle realtà più pubblicizzate, al punto tale da creare quello scandalo che è lo sciupio e la distruzione di beni alimentari, mentre un'immensa platea di bambini, di uomini e donne ogni giorno letteralmente muore di fame. Noi, invece, ci ritroviamo con ragazzi obesi e con adulti attanagliati dagli incubi della circonferenza e dell'appesantimento corporeo.
Ma Titoes ha in mente un altro tema di taglio più ascetico. Se hai la bocca e il ventre sempre spalancati, alla fine l'interiorità si fa esangue, lo spirito si intisichisce, si diventa materialisti, si ottunde anche la mente e persino si rovina il corpo. Pensiamo, ad esempio, al dramma dell'abuso dei superalcolici da parte dei giovani (ma non solo). La golosità sfrenata rimane pur sempre uno dei sette vizi capitali e anche la Bibbia ci ha lasciato ritratti sferzanti delle persone travolte da questo peccato: si provi a leggere il sarcastico ritratto dell'ubriaco disegnato nel libro dei Proverbi (23, 29-35). La sobrietà non è, dunque, solo un impegno di carità fraterna verso i miseri, è anche un atto di auto-educazione e di trasformazione personale, passando dall'istinto brutale vorace al dominio di sé.
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