venerdì 15 febbraio 2008
A prima vista sembra un replay, disinganna quella maglia dai colori e dai contenuti diversi: il rosso e il nero, invece del nero e azzurro. Allora, era il 2000, all'Olimpico di Roma,
la corsa a velocità «fenomenale», l'interruzione improvvisa, la caduta rovinosa, il grido, il ginocchio rotto in primo piano, le lacrime; l'altra sera, a San Siro, lo scatto di reni in area per un colpo di testa, la ricaduta scomposta, un altro grido disperato, la barella, ancora le lacrime e l'interrogativo: tornerà, Ronaldo? Se non fosse
che il calcio ha i suoi "santi", il nuovo gravissimo incidente occorso al Fenomeno verrebbe archiviato in fretta - come tanti altri, di giocatori non beatificati - all'insegna della sfortuna.
Per Ronaldo, invece, capace di risorgere da più di una drammatica caduta, si parla di maledizione e
le sue lacrime - insolite per un giovane uomo forte, fortunato, baciato dal successo, dalla popolarità, dalla ricchezza, una sorta di Superman delle aree di rigore - rivelano un'infanzia mai interrotta che contiene l'unica vera ricchezza umana di Ronie: la voglia di giocare a pallone, primeggiare, vincere. Anche una inattesa, dura sconfitta - nel fatidico 5 maggio interista - gli strappò lacrime amare. Peccato che le rovinose cadute - fisiche e psicologiche - e le sofferenze costantemente documentate dai giornali, dai film, da Internet, non gli abbiano mai consigliato una condotta di vita più prudente.
Il sospetto è che la sua macchina meravigliosa sia stata logorata da una vita privata dispendiosa, non da atleta, come si dice, anche se il calcio è ormai degenerato al punto di opporre alla frenesia agonistica sempre più pericolosa disinvolte concessioni alla dolce vita.
Gli infortuni si moltiplicano, le «rose» di 30/40 giocatori non garantiscono l'esistenza di una formazione di titolari. E allora vien voglia di suggerire agli epigoni di Ronaldo - in questi giorni si parla tanto di Pato, di Balotelli, di Paloschi, quasi adolescenti e già idolatrati - una condotta personale più attenta alla conservazione dei valori atletici di cui sono dotati,
un risparmio di energie fisiche e morali, perché anche di questo si può soffrire, come dimostra un altro brasiliano già Imperatore, oggi pedatore qualunque in via di difficile ricostruzione: Adriano.
E ai loro allenatori vien da dire di non pretendere troppo da questi ragazzi potenti fuori e fragili dentro, pena la dissoluzione di un ricco patrimonio sportivo ed economico. Per fortuna, alle parole si può accompagnare un esempio positivo: dico di Roberto Baggio, la cui vita d'atleta è stata segnata dal dolore fin dai primi calci eppoi durante la strepitosa crescita a campionissimo. La sua carriera - a ricordare il primo grave incidente in maglia vicentina - non avrebbe avuto il seguito glorioso che abbiamo registrato se Robi non ci avesse messo una forza d'animo straordinaria, un'esistenza controllata, tutta casa, famiglia e campo, e uno straordinario pudore che gli faceva nascondere dolori e lacrime in lunghe faticose sedute di lavoro ricostituente. Val la pena ricordarlo, Baggio, anche perché ha saputo fermarsi in tempo e negli anni della sofferenza, da campione del pallone, è riuscito a costruirsi un futuro da persona normale e
da padre di famiglia. Ronaldo e Adriano hanno due bambini: si facciano aiutare da loro...
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