sabato 10 novembre 2018
Quasi 6.200 uomini impegnati, 37 missioni in corso, 1 miliardo e mezzo (almeno) di spesa annuale. Sono numeri importanti quelli che raccontano le missioni nel mondo dei militari italiani, anche se ce ne ricordiamo soltanto a Natale e Capodanno in occasione dei consueti festosi collegamenti con le trasmissioni tv. Numeri dietro i quali si cela, in realtà, un graduale cambio di strategia del nostro Paese: da una parte meno pronto che in passato all'esigenza "solidaristica" di contribuire con uomini e mezzi alle operazioni Onu e Nato di costruzione di condizioni di pace, dall'altra molto più attento a difendere il suo storico ruolo nel Mediterraneo. Dalle "incursioni" della Francia, ad esempio, che ha moltiplicato negli ultimi anni il suo attivismo per conquistare un ruolo di primazìa militare ed economica sulla sponda sud del Mare Nostrum.
In realtà, ragioni geo-politiche a parte, è sempre più evidente che in Italia si sta realizzando una forte "convergenza" tra le funzioni del Ministero della Difesa e le esigenze del Ministero dell'Interno. Perché oggi la "guerra agli immigrati" o nella migliore delle ipotesi la lotta contro il traffico di esseri umani e il tentativo di governare i flussi migratori, è inconcepibile senza un ruolo attivo nel mondo. Se non si punta sulla cooperazione internazionale, per la quale – nonostante la dichiarata intenzione di «aiutarli a casa loro» – si prepara un taglio dei fondi, restano le missioni militari. La conseguenza è che nel 2018 le nostre Forze armate hanno avviato tre nuove missioni in Africa: la più recente – che ha preso concreto avvio a settembre, dopo i preannunci di un anno e mezzo fa – ha portato in Niger 50 militari italiani, che dovrebbero diventare nei prossimi mesi quasi 500, supportati da 130 mezzi terrestri e due aerei. La ministra della Difesa Elisabetta Trenta ha chiarito l'obiettivo della missione: «Arginare la tratta di esseri umani e il traffico di migranti che attraversano il Paese, per poi dirigersi verso la Libia e in definitiva imbarcarsi verso le nostre coste». Stesso obiettivo, non a caso, delle missioni militari attive già da tempo in Libia e in Tunisia.
A questa intensificazione securitaria dell'impegno in Africa, corrisponderà nei prossimi mesi un graduale disimpegno dei nostri militari dai "classici" fronti mediorientali di Iraq e Afghanistan. Si potrebbe dire dunque che il vero obiettivo delle missioni militari non sarà più il mantenimento della pace nel mondo, ma l'intenzione di gestire la "pace sociale" interna italiana. Una svolta sicuramente discutibile, e infatti discussa. Vedremo quali esiti avrà e chi e come ne pagherà i prezzi.
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