mercoledì 29 marzo 2017
Non dimentichiamoci che una delle prime grandi riflessioni sulla fede che la Bibbia ci offre è quella del sacrificio di Isacco, dove si pone la questione: fin dove dobbiamo essere disposti ad andare per consolidare la nostra fede in Dio? La fede è una lotta corpo a corpo, in una spoliazione sempre più radicale e aperta a un misterioso passaggio in cui l'io cede il posto al tu, al per te, al verso te. La fede è una traversata che si fa a tastoni, come se vedessimo l'invisibile ma senza trattenerlo né possederlo. Per questo, già la radice verbale ebraica da cui viene il termine "fede" stabilisce un nesso tra credere e avere fiducia. La fede è un interminabile test sulla fiducia. E per questo spesso ci risucchia nell'abisso del silenzio di Dio, questa sorta di ordalia per la quale tutti passiamo, credenti e non credenti. La fede viene sperimentata, prima o poi, come aporia. Solo così si configura con la fede di Cristo, che dall'alto della croce grida: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È possibile credere senza bere questo calice? No, non lo è. Quello che forse si scoprirà è che il silenzio di Dio non cessa di essere Dio e di farci misteriosamente addentrare nel mistero divino. Un po' alla stregua di quel che diceva Sacha Guitry della musica di Mozart: «Ciò che c'è di meraviglioso nella musica di Mozart è che il silenzio che viene dopo è ancora di Mozart».
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