mercoledì 23 agosto 2017
Recentemente seicento docenti universitari hanno lanciato un appello per denunciare l'incapacità degli studenti di esprimersi e di scrivere correttamente in lingua italiana, evidenziando come all'aumento dell'uso degli strumenti informatici corrisponda una crescente diffusione dei disturbi di dislessia, disgrafia, discalculia e disortografia.
È un fenomeno che preoccupa i docenti fin dalle scuole elementari e i genitori allarmati dagli scarabocchi che vedono sui quaderni dei loro figli. Viene opportuno un simpatico libro di Irene Bertoglio e Giuseppe Rescaldina dal bel titolo Il corsivo encefalogramma dell'anima (La Memoria del mondo Libreria Editrice, Magenta 2017, pagine 160 euro 18), con una breve prefazione dell'assessore all'Università, ricerca e open innovation della Regione Lombarda, sulla quale è elegante non infierire.
Gli autori, grafologa lei, psicologo psicoterapeuta lui, tengono a più riprese a precisare di non intendere perorare per un ritorno al passato (del resto, impossibile), bensì incoraggiare un'integrazione delle nuove tecnologie con le collaudate risorse della scrittura a mano. La scrittura, infatti, «è un atto cosciente e volontario ad alta valenza psicologica, che comunica un pensiero o un'informazione e che, a differenza del disegno, comprende un insieme di segni decodificabili da altre persone». Quanto alla grafologia, essa è «la scienza del gesto espressivo che, attraverso l'analisi della scrittura, è in grado di risalire alla personalità dello scrivente», con molte applicazioni non solo in campo giudiziario, ma anche per la scelta del personale da assumere, o per orientare gli allievi agli studi superiori. L'allusione al “gesto espressivo” fa capire che gli autori seguono il metodo grafologico di Girolamo Maria Moretti, oggi valorizzato, appunto, dall'Istituto grafologico internazionale Moretti (www.dirittodiscrivereamano.org)
Perfino Umberto Eco, in un articolo su The Guardian del 21 settembre 2009 aveva lamentato l'eclissi del corsivo: «I bambini, e non solo, non sanno più scrivere a mano. La crisi è cominciata con l'avvento della penna a sfera: con questo prodotto, la scrittura non ha anima, stile e personalità. La mia generazione ha imparato a scrivere a forza di ricopiare in bella grafia le lettere dell'alfabeto. Può sembrare un esercizio ottuso e repressivo, ma ci ha insegnato a tenere i polsi fermi sulle nostre scrivanie. L'arte della scrittura insegna a controllare le nostre dita e incoraggia la coordinazione occhio-mano». Proprio come sostengono gli autori, i quali lamentano la scarsa manualità delle nuove generazioni avvezze alla sola informatica.
Sulla base di ricerche internazionali, gli autori sostengono che «quando scriviamo a mano vengono accese aree più profonde della struttura cerebrale: ciò non avviene quando digitiamo sulla tastiera. La scrittura in corsivo accende il cervello: stimola il miglioramento delle capacità di lettura e di calcolo, potenzia la capacità di attenzione e di apprendimento, struttura l'autodisciplina, aumenta la concentrazione e la creatività».
Il libro informa sul metodo elaborato dalla dottoressa Susanna Primavera, sulla base di esperienze di scuola francese, utile per percorsi di prescrittura fin dalla Scuola dell'infanzia (Metodo Primavera), e offre testimonianze positive sull'impiego dei “tracciati scivolati” sviluppati dal neuropsichiatra Julián Auriaguerra.
In conclusione, la regola del «3-6-9-12» (per genitori e insegnanti coraggiosi) coniata dal neuropsichiatra infantile Serge Tisseron: «1. Nessuno schermo digitale fino a 3 anni; 2. Nessuna consolle di videogiochi fino a 6 anni; 3. Nessun accesso a internet fino a 9 anni; 4. Accesso libero alla rete solo dopo i 12 anni». A titolo di consolazione, è segnalata anche la possibilità di seguire corsi di rieducazione della scrittura.
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