L'inganno del verosimile e le fake news degli amici
venerdì 25 marzo 2022
Abbiamo un nuovo nemico. Anche se di fatto non è così nuovo. Ma andiamo con ordine. E partiamo da un dato. Soltanto quattro anni fa, secondo un rapporto di Infosfera, l'82% degli italiani non sapeva riconoscere una fake news, cioè una notizia deliberatamente falsa, costruita per infangare un nemico o a scopo di propaganda.
Oggi, secondo l'indagine «Media e fake news» che Ipsos ha realizzato per Idmo, «il 73% degli intervistati ritiene di essere in grado di distinguere un fatto reale da una bufala». Se così fosse, la percentuale delle persone ingannate, sarebbe crollata dall'82% al 27%. Il 55% in meno. Quest'ultimo studio contiene però anche un altro dato, forse più importante. Dopo avere affermato «di saper smascherare una bufala», alla domanda su quanti sono gli italiani che sanno riconoscere una fake news, la risposta degli intervistati è che appena il 35% è capace di farlo.
Differenze così importanti si spiegano col fatto che un conto è ciò di cui siamo convinti (per la serie: io alle bufale non ci casco, sono gli altri quelli che ci credono) e un altro il nostro reale comportamento online (caschiamo nelle bufale molto di più di quello che crediamo). Spesso non lo facciamo apposta. Sono i cosiddetti bias cognitivi che ci ingannano e ci fanno sbagliare.
C'è poi un altro dato: in questi anni anche la disinformazione ha fatto passi da gigante. Non si usano più notizie completamente false, ma «distorsioni e mezze verità mischiate a frammenti di resoconti autorevoli di eventi reali». Al punto che il nostro nuovo nemico (eccoci al punto iniziale) non è il falso ma il verosimile. Molto più difficile da smascherare. Tanto più se conferma un nostro pregiudizio. Da tempo i neuroscienziati hanno scoperto che uno dei bias che più ci ostacola nel percorso vero la verità è il cosiddetto «bias di conferma». In pratica senza che ce ne accorgiamo diamo molto più credito alle informazioni che confermano una nostra idea o un nostro pregiudizio, mentre tendiamo a non vedere o addirittura rimuoviamo tutto ciò che mette in crisi le nostre idee.
Non è finita. Se da una parte, uno studio condotto da Merten in 36 Paesi, ha scoperto che «circa un quinto degli utenti dei social media ha smesso di seguire o ha bloccato account di utenti o pagine di organizzazioni a causa di ciò che avevano pubblicato», la pur grande preoccupazione comune per la diffusione delle fake news (ne ha paura quasi il 70% degli utenti social) non ci ha messo al riparo da alcuni comportamenti sbagliati (che facciamo senza accorgercene).
Per esempio, un recente studio apparso sul «The Journal of Communication», intitolato «Social influences on the spread of misinformation on social media» (Influenze sociali sulla diffusione della disinformazione sui social media») ha dimostrato che non tutti i nostri amici social hanno la stessa probabilità di essere bloccati o silenziati da noi a causa delle falsità che pubblicano. E non solo perché ciò che pubblicano in fondo non è così grave, ma soprattutto perché «li sentiamo più affini a noi e più vicini politicamente».
Banalizzo un po'. È come quando qualcuno commette un errore: con chi ci è più vicino (figli, amici, parenti) siamo più garantisti e tolleranti di quanto non lo siamo con chi non conosciamo o addirittura con chi percepiamo come una minaccia o un nemico. Per questo se un nostro amico che sentiamo affine posta sui social «una bugia» tendiamo a lasciar correre.
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