Perché Elon Musk ha urlato alla censura per 120 milioni di multa dell’Ue

Una richiesta di semplice conformità normativa al Digital Services Act è stata raccontata come un atto ostile. È in gioco il rapporto tra democrazia e infrastrutture digitali
December 12, 2025
Perché Elon Musk ha urlato alla censura per 120 milioni di multa dell’Ue
FILE PHOTO: Elon Musk holds up a chainsaw onstage during the Conservative Political Action Conference (CPAC) in National Harbor, Maryland, U.S., February 20, 2025. REUTERS/Nathan Howard/File Photo/ REUTERS
Elon Musk è di nuovo in rotta di collisione con l’Europa. La Commissione Ue ha inflitto a X la prima multa del Digital Services Act: 120 milioni di euro, per come la piattaforma è costruita, non per ciò che gli utenti scrivono. Musk ha reagito parlando di “quarto Reich”, invocando lo scioglimento dell’Unione e cancellando l’account pubblicitario della Commissione: un dossier tecnico trasformato in bandiera ideologica.
I rilievi della Ue sono tre. Il primo riguarda la spunta blu, che per anni ha indicato un profilo verificato e oggi è diventata la ricevuta di un abbonamento, senza che l’interfaccia lo faccia capire con chiarezza: un “tranello” che sfrutta la fiducia accumulata nel tempo e confonde l’utente. Il secondo è la “scatola nera” della pubblicità: il Dsa chiede un archivio trasparente di chi paga cosa e per raggiungere chi, ma l’archivio di X è lacunoso e di fatto inutilizzabile. Il terzo è la chiusura verso i ricercatori: l’accesso alle Api è stato reso proibitivo, lo studio dei dati pubblici quasi impossibile, e università e centri di ricerca non possono più verificare in modo indipendente come funziona l’algoritmo.
Quindi non si discute di contenuti, ma di trasparenza: non il “cosa”, bensì il “come”. Il Dsa guarda al modo in cui una piattaforma costruisce fiducia, vende visibilità e permette a chi studia la società di controllare ciò che accade nei suoi “ingranaggi digitali”. È l’esatto contrario della censura: nessuno dice a Musk cosa può o non può scrivere, gli viene chiesto di rendere visibili le regole del gioco.
La reazione scomposta di Musk ha spostato il caso da una questione meramente tecnica a una guerra culturale. Musk ha rilanciato post che paragonano l’Europa al quarto Reich e dipingono Bruxelles come un nemico della libertà. Su questa linea si è inserita l’amministrazione Trump: esponenti di vertice hanno presentato la multa come un attacco all’industria tecnologica americana e alla libertà di parola degli Stati Uniti, ignorando che il Dsa vale per tutte le piattaforme, incluse quelle europee.
Lo scontro rischia di trasformarsi in quello che l’esperto Matteo Flora definisce “un conflitto cognitivo” tra Stati Uniti e Unione Europea, in cui una richiesta di semplice conformità normativa viene raccontata come un atto ostile. X ha 60 giorni per sistemare le spunte e 90 per aprire gli archivi pubblicitari; se non lo farà, potrà subire multe periodiche fino a una quota consistente del fatturato globale.
La domanda, a questo punto, non riguarda più solo un social network. Riguarda il rapporto tra democrazia e infrastrutture digitali. La multa a X non dice cosa possiamo o non possiamo scrivere online: ricorda che, anche nello spazio digitale, esistono regole minime di trasparenza, uguali per tutti. Il paradosso è che una parte significativa del dibattito pubblico si svolge su una piattaforma che dipende dai capricci di un singolo uomo, capace di rispondere alle leggi con meme incendiari e paragoni nazisti. È questo il cuore del caso X: scoprire quanto il nostro spazio pubblico sia diventato fragile quando lo consegniamo, chiavi in mano, ai signori di feudi digitali.
 

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