Come possiamo sopravvivere all'apocalisse semantica del web
Esistono su Internet più articoli generati dall’intelligenza artificiale di quanti siano quelli scritti da esseri umani. Ma se la scrittura non ha più valore, cosa lo avrà?
Il web frontiera di ingegno, libertà e creatività umana non esiste più. E non si tratta di una percezione, lo sostengono i numeri: esattamente da novembre dell’anno scorso è stato documentato, da uno studio dell’agenzia Graphite.ia, che esistono su Internet più articoli generati dall’intelligenza artificiale di quanti siano quelli scritti da esseri umani. Dal lancio di ChatGPT, il chatbot di OpenAi nel novembre 2022, molte aziende hanno valutato la pubblicazione di contenuti generati da modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) per aumentare il traffico su canali come la ricerca di Google, i social e la pubblicità. A spingere le aziende è stata certamente una motivazione economica: nello specifico, la possibilità di risparmiare con l’IA sui costi di produzione di contenuti originali, pensati e creati dall’ingegno umano. Ma questo cosa ha provocato? Innanzitutto, ha rovesciato alcune caratteristiche peculiari del web, ad esempio quella verticalità di alcune nicchie di valore dove a produrre contenuti erano studiosi e cultori della materia oggi si fa più fatica a intercettare. Oggi l’Internet su cui navighiamo anziché essere più ricco di informazioni, sta diventando solo più rumoroso: questo processo, di cui parla anche il professor Matteo Flora, esperto di IA, è noto come content collapse, in italiano “collasso del contenuto”. Un aumento esponenziale della quantità di contenuti porta a un crollo verticale del valore medio di qualsiasi contenuto.
Se si considera che le IA future si addestreranno su questi contenuti di bassa qualità generati dall’IA - AI Slop per citare la parola dell’anno 2024 scelta dal quotidiano economico Financial Times - secondo il professor Flora siamo di fronte a un’apocalisse semantica. Tra l’altro, anche se c’è qualcuno convinto di riuscirci, rilevare un testo generato dall’intelligenza artificiale è realisticamente per noi esseri umani difficile, se non impossibile in maniera rigorosa. Quest’incapacità di rilevare i contenuti generati dall’IA comprende, a sua volta, altre implicazioni significative: facilita una maggiore diffusione di disinformazione, ma anche disonestà accademica e ci mostra una crescente mancanza di autenticità online. I contenuti prodotti con l’IA sono ottimizzati per un algoritmo, ma privi di un vissuto personale o di un tocco di originalità e in questo modo finiscono per erodere la fiducia rimasta alla parola scritta come veicolo di autenticità e verità. Questo scetticismo spinge gli utenti a fidarsi sempre di più solo di brand, fonti o teorie consolidate, secondo quel bias di conferma per il quale tutto ciò che ci interessa leggere è soltanto ciò che l’algoritmo ci propone e al tempo stesso ci conferma nelle nostre posizioni e nei nostri interessi socio-culturali. Insomma, anziché arricchirsi di nuovi punti di vista e osservazioni in contraddizione con le proprie opinioni, ci si rifugia nelle proprie “bolle” selettive.
In questo scenario non propriamente ottimistico per il sapere condiviso, c’è però una crepa che può aprire uno spiraglio e favorire in qualche modo il giornalismo. Come? Un altro studio, sempre degli americani di Graphite.ia, ha analizzato in che modo si comportano nella Ricerca di Google gli articoli generati dall’IA, dimostrando che solo il 7% di questi testi vengono valorizzati ai primi posti della Google Search. A prevalere sono ancora i prodotti dell’ingegno umano? O forse Google investendo molto sulla sua AI mode lascia indietro gli altri competitor come Claude, ChatGPT o Perplexity? Quello che, al momento, si può solo ipotizzare e che suggerisce, anche il professor Flora, è che se la scrittura non ha quasi più valore, diventeranno contenuti premium il fact checking (la verifica dei fatti), i contenuti di curatela per districarsi in questo mare magnum di omologazione, ma anche l’informazione di altissima qualità, a patto che comprenda una dimensione autoriale, fatta di autenticità e vissuto personale.
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