Dietro un «avatar» c’è sempre una persona

Affetto da Duchenne, in World of Warcraft — come Ibelin — Mats trovò libertà, amicizia e amore: una comunità vera, dentro e fuori lo schermo
October 17, 2025
Un corpo gracile non gli ha impedito di diventare un gigante, in un luogo dove la materia pesa meno delle parole. Il norvegese Mats Steen sognava una vita oltre i confini imposti dalla distrofia di Duchenne e l’ha trovata ad Azeroth, il mondo di World of Warcraft, un universo fantasy che online ha segnato la storia dei giochi di ruolo. Lì, Steen aveva un altro nome: Ibelin. In quel regno digitale, fatto di gilde e falò, ha conosciuto libertà, amicizia, amore. E ha imparato a resistere.
Mats è morto nel sonno nel novembre di 11 anni fa. Aveva paura della fine – lo scriveva nel suo blog «Musings of life» (in italiano si può tradurre con meditazioni sulla vita, ndr) – ma non l’ha mai lasciata vincere. «Sono su questa terra da 24 anni e intendo restarci a lungo», scriveva. Dopo un ricovero difficile, diceva che la morte avrebbe dovuto attendere «ancora un po’». Lo fece, però, solo, per undici mesi.
Il padre Robert temeva che al funerale del figlio, in una chiesa di un paesino vicino a Oslo, non ci sarebbe andato nessuno. Era convinto che il ragazzo non avesse mai davvero sperimentato l’amicizia, le relazioni, la possibilità di amare. Ma non era così. In fondo alla sala c’erano decine di sconosciuti arrivati da tutta Europa. Per loro, Mats non era Mats: era Ibelin, «un famoso detective e nobile, che trova amici e combatte il male ovunque vada». E una sera, davanti al fuoco, comparve Rumour, un’altra giocatrice di World of Warcraft: capelli scuri, sorriso smagliante. Rubò il cappello a Ibelin, corse nel bosco, si voltò e gli posò un bacio sulla guancia. «Era solo un bacio virtuale, ma mi sembrava di sentirlo», scrisse Mats nel suo blog. Dietro Rumour c’era Lisette, un’adolescente olandese.
Nel gioco Mats non parlava della malattia: non voleva la pietà di nessuno. Da bambino aveva odiato un campo estivo «per disabili», lo sguardo pietoso degli adulti che credevano di essere gentili. In rete chiedeva solo normalità. «Lì la mia disabilità non conta: le catene si spezzano e posso essere chi voglio». Così iniziò a scrivere: «My escape», «Love», appunti di una vita che si risveglia quando lo schermo si accende. Non fuga ma approdo.
Nella sua gilda – Starlight – Ibelin divenne un punto fermo. Aiutava, consigliava, pacificava. Una volta sparì per dieci giorni: tutti in ansia. E così scoprirono il blog, l’ospedale e la carrozzina. «Per noi sei importante», gli scrisse la sua amica Anne, ricordandogli tutte le persone che Mats aveva ascoltato e sostenuto anche fuori dal gioco. Forse fu allora che Mats capì di non avere vissuto invano: contava dentro e fuori la mappa.
Al funerale, il padre Robert scoprì la seconda vita del figlio, fatta anche da quelle 20mila ore trascorse con la comunità online. «Hai fatto tutto ciò che temevamo non avresti potuto fare: ti sei innamorato, hai combinato guai, qualcuno ti ha persino dato del donnaiolo. Da padre, un po’ ne vado fiero». Poi il maestro di gilda, Nomine, proclamò che in tutta Europa si accendessero candele per rendergli onore. In «WoW» la sua tomba digitale – sul lago dietro Goldshire, nella foresta di Elwynn, dove Ibelin incontrò Rumour – le fiammelle bruciano ancora. Quella storia oggi vive nel documentario Netflix “L’altro mondo di Mats Steen”, scritto grazie al suo blog e alle chat con i suoi amici di gilda. Prima ancora che racconto è un promemoria: i mondi virtuali non cancellano la realtà, la dilatano. Dietro allo schermo Mats ha trovato ciò che i suoi temevano gli fosse negato: una comunità, un posto tra gli altri, la forza di contare. La sua vita, breve e luminosa, dice che dietro un avatar c’è sempre una persona. E che certe catene si spezzano non solo per magia, ma anche per davvero.

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