sabato 5 luglio 2003
Belle parole e un aspetto insinuante sono raramente associati con l'autentica virtù. Leggo un profilo della letteratura cinese nelle sue traiettorie più significative. Largo spazio è ovviamente riservato a K'ung fu-tzu, " il maestro K'ung", il nostro Confucio, vissuto tra il VI e il V sec. a.C.
A un certo momento si cita una frase dell'opera Lun Yü, cioè "i dialoghi", che raccolgono l'insegnamento del maestro così come ci è stato tramandato dai suoi discepoli. Riprendo, allora, quella considerazione per la nostra riflessione quotidiana, nella consapevolezza che essa
vibri un colpo a un comportamento molto diffuso ai nostri giorni. Domina, infatti, l'immagine, l'esteriorità, l'apparenza ed è estremamente facile lasciarci incantare dalla confezione, perdendo di vista il contenuto. È per questo che si usa l'espressione "nuda verità", coniata tra l'altro da Orazio nelle sue Odi (I, 24, 7): spesso i manti che le si gettano sopra servono solo a celarla, a deformarla, a nasconderla. Lo stesso vale per la virtù e, per contrasto, anche per il vizio. Le coperture riescono a confondere queste due realtà antitetiche e spesso sotto un paramento solenne e dorato si nasconde l'inganno, mentre alle semplici vesti della virtù e della verità non si dà credito più di tanto. È l'eterno rischio dell'ipocrisia, uno dei vizi più subdoli perché ha il volto della virtù. Vorrei solo aggiungere una nota sull'aggettivo "insinuante" usato da Confucio. C'è, ai nostri giorni segnati appunto dall'apparire e dalla pubblicità, una sottile attrazione esercitata dalla falsità: essa si presenta così affascinante e serena da spingerci quasi inconsapevolmente tra le sue braccia.
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