sabato 10 novembre 2018
Èdi nuovo sabato, un'altra settimana passata, altre notti e altre mattine che hanno visto salire e scendere il sole, hanno sentito il pianto e visto il riso dei nostri bambini. Quel ridere come una cascata d'acqua fra i sassi di un torrente che ancora sentiamo uscire dalla gola dei nostri figli. Ma così poco oggi perché già nei primi anni di vita passa vicino, anche alla innocenza l'onda amara della paura e della violenza. Allora l'incapacità di credere nella bontà e nel bene ci porta a chiudere le nostre porte con grandi chiavi e il nostro cuore alla speranza e alla fiducia. Questo perché non abbiamo la pazienza o la curiosità di ascoltare le voci di chi combatte, con pochi aiuti, la profonda povertà delle anime che si sentono inutili, perdute in un mondo che non le vede neppure e che infondo le disprezza. Si cercano vie per ricondurre nelle loro terre questi disperati che le hanno fuggite, ma essi ritorneranno perché a tutti è dovuto il dono della vita.
Non si può immaginare quale potrebbe essere l'accoglienza di coloro che noi, in un modo o nell'altro, rigettiamo su altre sponde se non una nuova violenza. Allora questa Europa così ricca di intelligenza, d'arte, di cultura e di bellezza sarà costretta a sopportare questa invasione peggiore di una guerra perduta? Dobbiamo, come i primi esploratori, cercare nuove strade, avere nuove iniziative sul posto che possano dare lavoro e interesse a chi oggi fugge la miseria assoluta, la prepotenza e la forza delle armi.
Costruire una vera pace tra le terre d'Africa dovrà essere il compito della nuova generazione europea se vorrà sopravvivere a quella violenza pacifica e decisa che cambia già sulle nostre strade. Chi non ha più niente da perdere ha il tempo dalla sua parte, mentre noi che ci consideriamo popoli positivi, autori di antiche esperienza, e soprattutto di nuove e brillanti scoperte nei campi delle scienza non possiamo permetterci di gettare via giorni e anni giocando nel campo delle personali vittorie politiche.
Non basta rimandare indietro alcune navi di migranti, bisogna rendere interessanti le loro terre. Lo abbiamo fatto con i loro antenati. Lo abbiamo fatto quando abbiamo scoperto le loro miniere d'oro e abbiamo dato loro la patente di schiavi. Li abbiamo usati nelle nostre guerre e quando la loro terra era diventata troppo difficile da governare, li abbiamo abbandonati senza farli crescere nelle leggi della libertà e dell'autodeterminazione. Tocca a noi, paesi d'Europa che abbiamo appena smesso di farci le nostre guerre, trovare una strada percorribile per questa folla di profughi che vediamo sulle pagine dei nostri giornali, andare avanti senza paura, disposti a perder quel poco che ha lasciato la loro vita.
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