sabato 24 novembre 2007
L'inconscio non è soltanto male, ma è anche la sorgente del bene più alto; non è solo buio ma anche luce, non è solo bestiale, semi-umano, demoniaco, ma è anche sovrumano, spirituale e, nel senso classico del termine, «divino».
Non ho letto molto di psicoanalisi, ma devo riconoscere che alcuni testi di Carl Gustav Jung (1875-1961) mi hanno interessato, a partire da quella Risposta a Giobbe, provocatoria ed enigmatica ma suggestiva, che lessi quando trent'anni fa stavo preparando un commento a questo straordinario libro biblico. Mi capita ora tra le mani un saggio di questo autore svizzero, La pratica della psicoterapia, e sfogliandolo mi fermo sulle parole sopra citate. Sull'inconscio la psicoanalisi ci ha campato, spesso con evidenti eccessi, soprattutto quando in quei recessi oscuri trovava di tutto e di più per spiegare ciò che facevamo alla luce del sole.
L'osservazione di Jung mi sembra piuttosto sapiente ed equilibrata e può diventare un appello a studiare meglio la propria interiorità, attuando l'antico precetto greco del «conoscere se stessi», inciso sul frontone del tempio di Delfi. Certo, a vagliare quel groviglio di emozioni, sensazioni, pulsioni, tensioni si possono avere brutte sorprese, un po' come accade - a quanto si dice - durante l'anestesia totale, quando anche dalla bocca di persone esemplari fuoriescono scampoli di linguaggio sconcertanti. Tuttavia, come ci fa notare Jung, in noi sono sedimentate e sono misteriosamente in azione energie positive, doti sovrumane, ricchezze inattese. Per questo è importante far affiorare non solo nella coscienza ma nell'agire quel deposito di vitalità, di creatività, di interiorità che è in nostra dotazione.
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