sabato 5 marzo 2011
«Tripoli, bel suol d'amo-re», era scritto sulla vecchia sveglia in casa della mia nonna Ida. Era grande, rotonda e impreziosita dai colori della bandiera italiana con lo stemma dei Savoia. Stava in bilico su due perni di metallo che mentre suonava il campanello dall'alto tremavano un po'. La proprietaria di questa oggetto era la vecchia tata entrata nella casa quando la prima delle figlie della nonna era andata sposa. Il suo compito doveva essere solo quello di curare l'abito della ragazza e di pettinarle i capelli raccolti sotto le falde di un grande cappello. Vi rimase tutta la vita, vedendo passare generazioni di bambini, ragazzi, uomini e donne fino a curare la vecchia nonna. Ma sempre al mattino molto presto, come si usa nei paesi, quasi fosse necessario assistere al nascere del sole, la sveglia riempiva l'aria con il suo grido che infine dava, a noi bambine, un senso di sicurezza: ci si voltava dall'altra parte del letto coscienti che c'era qualcuno che vegliava per noi. Chissà dove era questa Tripoli, e perché la tata ci permetteva solo di guardare da lontano l'antica sveglia. Forse un ricordo di un amore partito ai tempi della guerra di Libia e mai ritornato. Terminata la nostra ultima grande guerra europea avevamo pensato a curare le nostre ferite, dimenticando che i popoli d'Africa gemevano sotto quelle dittature che infine garantivano anche a noi un futuro di pace. Cercare accordi con quei governi non ci procurava rimorsi, anzi averli liberati del colonialismo dava alle potenze occidentali vittoriose il raggiungimento di un senso di giustizia. Solo oggi forse è dato a queste popolazioni raggiungere un destino di pace ma a prezzo di tante morti, dell'umiliazione di vedere chi li aveva governati per quarant'anni farsi proteggere da milizie pagate che arrivano dall'interno dell'Africa. E il loro capo manda aerei radenti a terra per uccidere quello che chiama il suo popolo e dà inizio a una guerra tra fratelli. Segue la via tracciata da altri dittatori che non sanno perdere e che per non rinunciare al potere si lasciano prendere dalla pazzia di spingere a stragi inutili chi crede ancora nella sua parola. Abbiamo avuto anche noi i ribelli, i volontari della libertà e quanto tempo abbiamo messo per riportare negli animi di tutti una valutazione più equa dei fatti, per raggiungere un modo civile di perdonare o almeno di comprendere le situazioni dell'altro, infine una voluta pace interiore che ci permetta di affrontare un giudizio della storia privo di sentimenti di vendetta. Al di là della vittoria di chi nei Paesi del Mediterraneo pretende oggi la propria libertà e che ci auguriamo non debba passare per una lotta tra fratelli, resta il lungo lavoro per una vera costruzione di un governo democratico alla quale tutti oggi siamo chiamati a collaborare con gli aiuti che possiamo offrire, con la nostra esperienza di una pace raggiunta a fatica, ma amata al di sopra di ogni altra virtù civile.
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