mercoledì 3 giugno 2009
«Sapete di gente che scriva ancora "qual è" senza apostrofo?», si domanda Andrea De Benedetti nel manualetto Val più la pratica (Laterza, pp. 180, euro 14). E risponde: «A me non viene in mente quasi nessuno. Vi dirò di più: pur conoscendo bene la regola, quando sono sovrappensiero anche a me viene naturale metterlo, come del resto faccio, in questo caso correttamente, con "quando" (quand'è), "dove" (dov'è) e "cosa" (cos'è)». Va bene, come sostiene l'autore, che la lingua parlata debba avere il sopravvento sulla lingua scritta, ma non si dovrebbe rinunciare alla ragionevole coerenza e, soprattutto, non si dovrebbe scrivere «sovrappensiero». La regola, che De Benedetti afferma di conoscere, è chiara: «qual» esiste sia al maschile («qual buon vento ti porta?») sia al femminile («per la qual cosa»), e quindi non essendo elisione, ma troncamento, l'apostrofo non va. E spiace che sia proprio De Benedetti a lasciar correre, proprio lui che giustamente stigmatizza l'uso di «pò» (con l'accento) al posto di «po'« (con l'apostrofo). Forse che De Benedetti scriverebbe «un'asino», «un'ebete», «un'idiota», «un'orco», «un'uomo»? Nemmeno sovrappensiero, perché esiste «un» ed esistono «uno» (che non si apostrofa) e «una» (che si può apostrofare). Nel caso dell'«idiota», inoltre, «un idiota» è un uomo, «un'idiota» è una donna (la categoria è ambosessi), specificazione che dovrebbe far piacere a De Benedetti che lodevolmente rifiuta «gli» (a lui) al posto di «le» (a lei), mentre saggiamente lascia correre «gli» al posto di «a loro». D'accordo che il parlato prevalga sullo scritto, ma lo scritto dev'essere leggibile. De Benedetti accetta «c'ho» (che si legge «ko») al posto di «ci ho», ma ciò va lasciato al «c'azzecca» del linguista onorevole Di Pietro, che quasi mai «ci azzecca». Ottimo invece il consiglio di usare la «d» eufonica solo quando si incontrano due vocali uguali («ed egli», ma non «ed anche»). La testa di turco di De Benedetto è il «neo cruscante» (abbreviato in «neo-crusc»), cioè il fanatico (insegnante, scrittore) delle regole che incorsettano la lingua. Ha ragione, ma talvolta sfonda porte aperte. Per esempio, si scalda contro chi pretende che il soggetto debba sempre venire prima del verbo e del complemento, ma chi mai (e ormai) lo pretende? L'«iperbato» (trasposizione dell'ordine delle parole) è d'uso corrente, non solo in poesia. Un intero capitolo è dedicato al «soggetto», per sostenere, fra l'altro, che i verbi atmosferici («nevica», «piove») non hanno soggetto. Non è vero: il soggetto c'è sempre, magari sottinteso. «Nevica» è un verbo coniato per dire con una sola parola «cade la neve». Quindi il soggetto (reale e logico) sottinteso è «neve». Curiosamente De Benedetti sostiene che non sempre il verbo indica azione, ma anche processi o «cose che capitano», e porta a controprova il verbo «sudare» che, a suo avviso, non indica azione perché «non è una cosa che si fa, semmai è una cosa che capita». Ma come, emettere sudore non è un'azione? Esempio: «Che cosa fa Marcello? Suda». Il che può voler dire: con questo caldo, Marcello non può far altro che sudare. Oppure: Lavora duramente, nonostante la temperatura invernale. In realtà l'«anti-neo-crusc» restringe l'azione alla volontarietà, ma esistono anche azioni involontarie (per esempio, respirare), e quindi (sintetizzando il verboso capitolo dedicato al verbo) possiamo concludere che il verbo indica sempre azioni (attive o subìte) oppure stati, senza il fatalismo delle «cose che capitano». Insomma, il libro sottotitolato «Piccola grammatica immorale della lingua italiana» di immorale non ha nulla se non un'innocente voglia di stupire i borghesi, ma gli aristocratici non si stupiscono. È comunque utile per discutere, e anche per cristallizzare i propri pregiudizi.
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