martedì 30 settembre 2014
Se c'erano dubbi sulla necessità di curare scrupolosamente la fase difensiva, il passaggio di Attila Zeman a San Siro (dove l'erba ha già sue difficoltà a crescere) deve aver convinto ormai tutti i tecnici avveduti di ricorrere all'antica prudenza del “primo non prenderle” accompagnata dal ricorso al classico contropiede. È l'ultima arma che possiamo spendere nell'Europa della pedata nella quale - spesso ingiustamente - godiamo ormai fama di poveracci. Come se in passato meritassimo di essere considerati nababbi. In verità, dopo la famigerata invettiva di Giulio Onesti contro i “ricchi scemi” (1958) il calcio italiano ha sì continuato a spendere generosamente, ma evitando di sprecare e affidando le proprie fortune non ai soldi ma alla Tattica. Il mitico Catenaccio - per chi non lo sapesse - è nato anche per rispondere ad esigenze di risparmio. Come mi raccontò il suo inventore, Gipo Viani, l'idea di stravolgere una tendenza tattica fin troppo generosa e aggressiva nacque proprio nell'immediato dopoguerra, quando lui allenava la Salernitana. Non l'Inter o il Milan o la Juve dei potenti e ricchi. Altro che spending review: miseria. Come non tenerne conto oggi, dopo aver contagiato anche le attuali potenze mondiali che ingaggiano i Capello, gli Ancelotti e altri maghi “all'italiana”? La premessa mi introduce - inguaribile ottimista - alla seconda puntata della Champions League, proprio mentre la Roma si appresta ad affrontare il Manchester City, e la Juve l'Atletico Madrid. Ho letto e sentito note di terribilismo dopo che le due squadre primeggianti in Europa hanno eliminato concorrenti locali a suon di quaterne spettacolari: e tuttavia non ne trarrei paura, perché entrambe le nostre rappresentanti stanno giocando un calcio che oso immaginare all'altezza delle potenze continentali; e avremmo potuto averne tre, di contendenti, se Benitez non avesse massacrato il Napoli con fissazioni tattiche ingiustamente accostate alle idee di Sacchi e Zeman, perché il Romagnolo ragionava di tattiche avendo una straordinaria dotazione di campioni, mentre il Boemo andava di tanto in tanto castigando i distratti o presuntuosi (vedi Mazzarri) perdendo regolarmente con i catenacciari. Della Juve è ammirevole la potenza rabbiosa, qualcosa di più della magica intensità: il pragmatico Allegri ha trasformato il già brillante Tevez in un guerriero insaziabile e deve soltanto curare vieppiù l'impianto difensivo per raggiungere un equilibrio invidiabile. Equilibrio che è già l'arma della bellissima Roma di Garcia che ho accolto nel Bel Paese del Pallone definendolo - con suo gradimento - «Il miglior tecnico italiano in circolazione». A ben vedere gli scenari continentali, le due Italiane non mancano neppure di giocatori d'alto valore, fra i quali alcuni stranieri che forse dalle loro parti accusavano qualche difficoltà mentre, adeguatamente “ripassati” dai mister nostrani, si sono arricchiti tecnicamente e fisicamente. In più, riferendomi alla Juve, non va sottovalutata la volontà di Allegri di cancellare l'immanente presenza di Conte nello spogliatoio bianconero migliorando le prestazioni di Coppa. Se così non sarà, se inglesi e spagnoli finiranno per piegarci, non sarà certo colpa della nostra sbandierata povertà tecnica ma di errori dei condottieri e dei loro soldati. Lo dico anche agli interisti disperati: domenica a San Siro non ha vinto l'orgoglioso ma modesto Cagliari di Zeman, ma ha perso l'Inter di Mazzarri, come sempre pazza e in più distratta, sfaticata, forse vergognosa di essere definita ultradifensiva macchina da contropiede.
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