domenica 15 gennaio 2017
Il relativismo è in fin dei conti anch'esso molto relativo. Per alcuni, la verità dipende prima di tutto dal luogo; per altri, dall'epoca; per altri ancora, dall'efficacia (lo chiamano il pragmatismo); per molti, oggi, dall'individuo... Gli antichi scettici si spingevano volentieri oltre e relativizzavano la stessa individualità. Pirrone insiste sul «continuo cambiamento dei nostri stati d'animo»: «La salute, la malattia, il sonno, la veglia, la gioia, la tristezza, la giovinezza, la vecchiaia, l'audacia, la paura, il bisogno, la ricchezza, l'odio, l'amicizia, il caldo, il freddo, l'inspirazione, l'espirazione... tutto sembra diverso a seconda della diversa disposizione che abbiamo quando lo percepiamo». A ogni umore la sua verità. Quell'opera d'arte che ho detestato, mi sarebbe piaciuta se quel giorno non avessi avuto l'emicrania. E la più bella donna del mondo fa poco effetto anche se si è nudi – o proprio perché si è nudi – se il termometro alla parete indica circa 40°… L'individuo non è abbastanza indivisibile per poter essere il criterio ultimo del relativismo, e il relativismo individualistico appare come un tentativo molto dogmatico di trascurare le relatività incarnate e umilianti che segnano la volatilità dei nostri giudizi. Nell'enumerazione di Pirrone, c'è una relatività decisiva che la nostra società rigetta in modo particolare: quella delle età della vita. La citazione di prima evoca «la gioventù, la vecchiaia», alle quali aggiungiamo subito “l'infanzia”. Certo è che i miei gusti di quando avevo sei anni non sono gli stessi di adesso che ne ho a quarantacinque. E credo anche che una tortura particolarmente perversa sarebbe infliggermi senza sosta i “paradisi” della mia infanzia. Dall'antichità fino ai tempi moderni, si è generalmente operata la distinzione tra sette età della vita (eccettuando il periodo intrauterino), età che possono essere messe in relazione con il numero dei pianeti, i giorni della settimana, i doni dello Spirito Santo: infantia, pueritia, adulescentia, juventus, gravitas, senectus, grandævitas. Queste diverse età trasformano il quantitativo in qualitativo: la continuità degli anni si trasforma nella discontinuità delle fasi. Fasi che, come nota il grande storico Philippe Ariès, «non corrispondono solamente alle tappe biologiche, ma alle funzioni sociali». Ci sono le età dei giocattoli, della scuola, dell'amore e degli sport cortesi, della guerra e della cavalleria, della magistratura, della scienza e dello studio, della devozione. È la saggezza dell'Ecclesiaste: un tempo per tutto. È anche quella di Shakespeare in Come vi piace, Atto II, scena 7: «Il mondo intero è un palcoscenico, / e tutti, uomini e donne, semplicemente attori: / hanno le loro uscite e le loro entrate in scena; / e un uomo durante la sua esistenza recita molte parti; / la sua vita è composta da sette atti». Ciò che fa mondo il mondo, e non “circolo” o “gruppo”, è questa diversità e questa legittimità di ogni età della vita, dove ciascuno ha il suo ruolo da giocare, per non dire il suo mondo da comunicare, in opposizione e in compensazione a quello degli altri. Ora è abbastanza evidente che questa legittimità e questa diversità non sono più molto considerate. Da sette che erano, siamo passati a tre età (poiché si parla da ultimo della “terza età”) – o piuttosto a un'incertezza sul numero che vieta ogni corrispondenza simbolica o sociale. Ed è l'adolescenza che tende ormai a espandersi a macchia d'olio e diventare il modello esclusivo. Alcuni analisti denunciano così il giovanilismo di oggigiorno. Conviene tuttavia notare che giovanilismo e adolescentismo sono in verità la negazione dell'adolescenza e della gioventù: ogni età segue la precedente e fa appello alla successiva; un'adolescenza che non tende verso l'età adulta, una gioventù che perde il suo centro di “gravità” (per riprendere l'espressione latina che afferma il peso o la ponderatezza dell'uomo maturo) non sono più gioventù né adolescenza, ma qualcos'altro che non ha nome, e la confusione diventa allora completa: la ragazzina si veste da pin-up, la vecchia fa la lolita, il ragazzo diventa amministratore delegato di una start-up informatica che detta il tempo in Borsa… Tale è l'individuo della teoria tecno-economica: senza età. L'uscita dalla diversità delle età della vita implica la perdita della diversità delle funzioni sociali che si riducono d'ora in poi a una sola: i consumi. Giovani e vecchi si rallegrano insieme nell'accesso comune alle merci. E nei prodotti che acquistano si possono ancora trovare età residuali. Ma ciò che li motiva è lo stesso impulso. Hanno lo stesso rapporto con mondo che non è più un mondo, ma un club di consumatori. Ecco perché la figura dell'adolescente finisce per prevalere su tutte le altre. L'adolescente è nella posizione di consumatore ideale. Non è entrato ancora nella laboriosa insignificanza del lavoratore dipendente; è ancora abbastanza informe per aprirsi a tutte le innovazioni. Certo, gli manca lo stipendio. Ma, a questa adolescenza infinita, che è impossibile non mettere in correlazione con l'idea di crescita illimitata, si associa naturalmente lo spirito del vivere di rendita. È il segreto di Pulcinella del transumanismo e del suo sedicente superuomo: essere eterni adolescenti pieni di soldi, dove tutto si riduce solamente all'ultimo videogioco.
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