martedì 24 agosto 2004
La discriminazione in base all'efficienza non è meno deprecabile di quella compiuta in base alla razza, al sesso o alla religione. Una società che dia spazio solo ai sani, ai perfettamente autonomi e funzionali non è una società degna dell'uomo. C'è un sottile paradosso nella società contemporanea. Da una parte, si moltiplicano i proclami e anche le attenzioni nei confronti dei disabili: si giunge fino al punto di eccedere nel non voler considerare l'handicap, fingendo che esso sia irrilevante, secondo una retorica rispettabile ma pur sempre enfatica. D'altra parte, però, tutto il sistema di valori, la struttura sociale, lo stile di vita è fondato sull'efficienza, sulla produttività, sul successo che dà tutto e subito. In questa luce da smitizzare non è tanto la disabilità quanto piuttosto l'eccesso dell'efficientismo come pietra di paragone del vivere individuale e comunitario. Sono, perciò, sacrosante le parole di Giovanni Paolo II che, partendo forse dalla sua stessa esperienza personale, invita da un lato a pacificarsi coi propri limiti (e tutti ne abbiamo, anche se non vistosi) e d'altro lato a non misurare ogni realtà col metro dell'efficienza, divenuta quasi l'idolo di un mondo che solo al risultato materiale attribuisce valore consistente e autentico. Basti solo considerare la pubblicità che non ammette deroghe all'essere sempre belli, sani, scattanti identificando con questo stato anche la verità della persona. Ben altro dovrebbe essere il modo di giudicare non solo del credente ma di chiunque abbia a cuore la tutela della vera e profonda dignità della persona che si radica nella coscienza, nella fedeltà ai propri impegni, nell'amore.
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