giovedì 20 ottobre 2016
L'arte ha un compito differente dalla sociologia o dalla politica. Il suo interlocutore è la struttura stessa dell'intimo. Esattamente come la fede. Porta le sue conseguenze nella storia pragmatica solo come effetto di un accadimento interiore che si genera, sempre e inevitabilmente, lontano dai riflettori. Oggi come forse mai prima, la sovraesposizione a notizie e immagini di cronaca brutale e di ogni sorta, è totale. Ne è derivato lo sviluppo di una indifferenza sostanziale camuffata da solidarietà di comodo. Per un fenomeno perverso ciò che dovrebbe essere fonte di una informazione senza precedenti è in realtà lo strumento più potente di scissione dalla vita. L'arte non deve cavalcare questa strada, pena il passaggio de facto alla categoria delle anestesie sensoriali a cui siamo già ampiamente sottoposti. Per l'opera d'arte l'approccio didascalico è molto rischioso, se non deleterio. La stampella della cronaca per l'arte è una debolezza, perché prende il posto della visione estetica che aspira all'ethos tramite una sintassi linguistica che è l'unica vera forza che ha l'arte nel suo arsenale. La citazione descrittiva dei fatti è già ampiamente, quanto spesso inutilmente, coperta da chi si occupa di cronaca, di documentazione storica, di politica. Oggi, data l'esposizione ai media, sempre a portata di mano, è prassi così frequente la cannibalizzazione degli eventi da parte di opere artistiche da far dubitare riguardo alla buona fede e all'intento artistico. L'arte può essere quella visione che quando i fari della ribalta si chiudono su un evento continua a portare la sua domanda a chi ne fruisce, fatto che non ha nulla a che vedere col livello cronachistico della citazione dei fatti. La pratica didascalica in arte è un po' come la pratica devozionale spinta. Non attiva alcuna sollecitazione spirituale di un qualche valore. Diviene formula di superficie che si avvicina alla superstizione che nulla ha a che vedere col cambiamento nell'animo. Proprio per questo però è strumento prezioso nella creazione di un senso comune che è facile indirizzare mancando di quella stratificazione fondamentale per la costruzione di una identità. Il fioccare di opere a tema, in sincronismo perfetto con le sirene mediatiche, rivela una delle metodologie ormai acquisite della contemporaneità: il paradosso per cui si riesce a dissimulare una vicinanza a fatti e persone attraverso operazioni metaforiche a distanza. Nella realtà si stigmatizza l'assoluta indifferenza e assenza di empatia con l'umano, con il nocciolo delle questioni che si può tentare di affrontare in tanti modi tranne che con l'artificio di una condivisione fittizia , strumentale e finalizzata solo all'affermazione del proprio narcisismo o a fini commerciali.La vera proposta spiazzante dell'arte non viene dalla metodica delle rimostranze sociali. Quella attiene ad altri piani della vita di relazione. La vera proposta spiazzante è una visione improvvisa che destabilizza le strutture stesse del linguaggio, della sua sintassi, generando così in una maniera più intima e profonda un moto interiore. Che solo come conseguenza si estrinseca in varie direzioni, compresa anche quella sociale. Sta qui la quasi dichiarata debolezza dei gommoni di Firenze o del proliferare di barche e barchette in varie opere che si vedono in giro. Solo per fare un esempio. La dissimulazione della solidarietà va di pari passo con la dissimulazione della profondità e il massimo che si può riuscire a ottenere, ma solo in qualche raro caso, è un puro esercizio di stile concettuale applicato. Non è questo il servizio che l'arte può rendere all'uomo.
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