martedì 20 settembre 2016
«Che cosa c'è al dì là del monte?». Con questa domanda e la successiva risposta che egli stesso si dava, l'Abbé Paramelle, scopritore di sorgenti nascoste, conquistava la fiducia dei contadini francesi a corto d'acqua, agli inizi dell'Ottocento. In realtà l'Abbé Paramelle barava, dal momento che conosceva una accurata carta geografica della Francia.Oggi, per merito delle moderne tecnologie, molte cose sono cambiate, ma per secoli tutti noi abbiamo sfruttato le fatiche di quelli che muovendosi a piedi, a cavallo, in barca, in nave e perfino in mongolfiera, sono andati a vedere che cosa c'è «di là dal monte» e ce ne hanno lasciato descrizioni, relazioni, disegni e carte eseguite con le più diverse tecniche. Lode dunque a geografi e cartografi. L'entusiasmo diminuisce quando scopriamo che le carte geografiche degli Stati sono nate anzitutto a scopi bellici.I cartografi di professione del Sei e Settecento, quando propongono ai Governi le loro opere, dichiarano di non aver segnato né strade né fortificazioni. I Governi, a loro volta, requisiscono le lastre servite per la stampa o magari le distruggono. Anche le piante delle città sono importanti. Nel 1624 la spia piemontese Carlo Morelli rischia la forca pur di fare uno schizzo della cinta muraria di Genova.Nel 1722 il diffidente popolo di Sanremo tiene sotto sequestro Matteo Vinzoni, il più grande cartografo della Repubblica ligure, per impedirgli i suoi rilievi. Nel 1727, al contrario, il popolo di Sarzana chiede al Senato genovese una pianta accurata della città, per tenere a bada le mire della nobiltà locale.Una grande produzione di carte geografiche e topografiche nasce dalle liti per i confini, sia di Stato che di comunità. Una lite per la utilizzazione dei pascoli comuni, sui monti alle spalle di Chiavari, nasce ai primi del '600. Produce per secoli rilievi e mappe. Le crisi economiche e il bisogno di pascoli rinfocolano ripetutamente la lite. Nel 1942 un bravo cartografo piemontese, il geometra Giuseppe Torrero (il cui immenso archivio è oggi patrimonio pubblico), stabilisce con esattezza i confini tra le due comunità in lite. Solo nel 1978 una sentenza definitiva adotta la carta Torrero e la causa finisce. Un'altra lite tra comunità locali coinvolge la Repubblica genovese quando, a metà del Cinquecento, essa incorpora i domini dei Fieschi di Lavagna. Una mappa realizzata con un'unica visione frontale mostra la vicina valle del fiume Taro.L'anonimo autore disegna le poche foreste (di cerri e di faggi), le grandi superfici di pascolo (popolate da lepri!) e le isolate coltivazioni a terrazze. Ma la Repubblica vuole la precisione dei confini. Così invia una missione ufficiale, nell'estate del 1602. Il 10 agosto, aiutato dagli uomini del Consolato di Torricella (Varese Ligure) il cartografo-pittore Cristoforo De Grassi realizza la carta più bella dell'archivio genovese. Le dimensioni sono quelle di un tavolo di famiglia dove si lavora la carne del maiale. Vengono assemblati tanti schizzi separati, realizzati da prospettive diverse.Il territorio ligure è in ocra, in rosa la contea di Compiano, grigio un triangolo in contestazione. Gli "errori" sono vistosi: un borgo rotondo disegnato come ottagonale, i ruderi di una vecchia Pieve interpretati come una chiesa gemella della parrocchiale, nuclei abitati disposti in posizione inversa.C'è anche un "anamorfismo": i pascoli di Codorso formano proprio la schiena di un orso. Ma le informazioni sono tante e la visione d'insieme è di grande suggestione. C'è da rammaricarsi che questo grande patrimonio custodito dagli archivi non sia messo con più facilità – in accurate riproduzioni – a disposizione di chi vuole conoscere il territorio e le sue trasformazioni.
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