L'antitelevisione e il diritto all'ascolto
mercoledì 20 novembre 2019
Fuori la voce e appare un microfono. Per di più, proprio una voce, quella fuori campo, annuncia «visioni, opinioni e storie tutte da ascoltare». Allora è radio, altro che televisione. Invece, oltre all'audio, ci sono le immagini, con la loro forza, anche se statiche o quasi. Insomma, il nuovo programma di laF (canale 135 di Sky), in onda da lunedì alle 21.10, può all'apparenza sembrare un esperimento, in realtà è una sorta di antidoto alla tanta tv gridata, verrebbe da dire vociata, perché forse dà meglio l'idea di quanto siano sguaiati e volgari certi show o talk show grazie a personaggi volutamente e furbescamente sguaiati e volgari invitati apposta per interpretare il cafone in un gioco delle parti stucchevole di cui non ci scandalizziamo nemmeno più, dietro al quale c'è quasi sempre la promozione di un libro o di qualcos'altro. Proviamo solo pena per loro e dispiacere per chi ancora li sta a guardare. Esempi clamorosi non sono mancati nemmeno negli ultimi giorni. Fuori la voce vuole essere in questo senso l'opposto, ovvero, come recita ancora la voce fuori campo, «uno spettacolo di parola, lontano dai discorsi urlati, dall'arroganza verbale», per riprendersi «il diritto all'ascolto» in un tempo in cui tutti vogliono dire la loro senza ascoltare gli altri. Ogni puntata è introdotta dalla “copertina” di Stefano Massini, un drammaturgo, uno che ha fatto della parola un mestiere, ma anche un impegno sociale. Efficace il suo modo di raccontare la cittadinanza e la bellezza, temi delle prime due puntate, tra le dodici previste, ognuna delle quali propone due monologhi di una quindicina di minuti. A parlare in piedi, in un pianobar pieno di libri con le persone sedute a ridosso, si alternano sul tema stabilito personaggi della cultura, del giornalismo e dello spettacolo. Non ci sono cambi di scena e il montaggio si limita all'inquadratura di qualche volto tra il pubblico. Molto dipende dal narratore. I primi quattro se la sono cavata tutti bene, anche se Beppe Severgnini, da “vecchio” stratega della tv, se l'è giocata meglio di altri. In realtà è bravo, anche se racconta della bellezza dei propri luoghi di vita e di lavoro, che non sono esattamente gli stessi degli operai dell'ex Ilva.
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