I preti? Non impauriti o celebrità in Rete, ma testimoni della gioia del Vangelo

La Lettera apostolica di Papa Leone XIV sulle sfide del sacerdote. Il richiamo alla fedeltà al ministero per vincere le «tentazioni» dell’iperattivismo, della «celebrazione di se stessi», del disfattismo. I nodi della solitudine, del celibato, della crisi delle vocazioni, degli abusi
December 23, 2025
I preti? Non impauriti o celebrità in Rete, ma testimoni della gioia del Vangelo
Papa Leone XIV durante il Giubileo dei missionari digitali lo scorso luglio / ANSA
Non sacerdoti impauriti o iperattivi, né accentratori o primi attori sulla Rete. Ma preti che mostrano «un ministero gioioso e appassionato nonostante tutte le debolezze umane» e che assumono «con ardore il compito di evangelizzare ogni dimensione della nostra società, in particolare la cultura, l’economia e la politica, perché tutto sia ricapitolato in Cristo». Leone XIV racconta la bellezza e le difficoltà della vita sacerdotale. E, interrogandosi sulle prospettive del ministero ordinato, indica un punto fermo: la fedeltà. “Una fedeltà che genera futuro”, come è riassunto nel titolo della Lettera apostolica firmata dal Papa e resa nota ieri. Una fedeltà che rappresenta il fondamento da cui ripartire, anche oltre gli scandali degli abusi, la crisi delle vocazioni, la solitudine presbiterale, i carichi di impegni, tutti richiamati dal Pontefice. Ventinove paragrafi che il Papa indirizza non solo ai preti ma a tutta la Chiesa e che vogliono essere un incoraggiamento a «rinvigorire sempre e ogni giorno il ministero presbiterale, attingendo forza dalla sua radice, che è il legame tra Cristo e la Chiesa, per essere, insieme a tutti i fedeli e a loro servizio, discepoli missionari secondo il suo Cuore». L’occasione del documento è il sessantesimo anniversario dei decreti del Vaticano II Optatam totius e Presbyterorum Ordinis concepiti con l’intento di «formare le future generazioni di presbiteri secondo il rinnovamento promosso dal Concilio, tenendo salda l’identità ministeriale e al tempo stesso evidenziando nuove prospettive», ricorda il Papa.
A distanza di mezzo secolo, Leone XIV invita a riprendere in mano i due testi che diventano lo spunto per riflettere sulla condizione del prete nel 2025 e sollecitare un «costante cammino di conversione». Soprattutto di fronte alle «prove» che si presentano. Il Papa indica vari esempi. Come il «personalismo» e la «celebrazione di se stessi nonostante l’esposizione pubblica cui talvolta il ruolo può obbligare». Due deviazioni da cui Leone XIV chiede di rifuggire. Il Pontefice non cita i preti influencer, anche se è esplicito quando associa «l’esposizione mediatica» all’«uso dei social network e di tutti gli strumenti oggi disponibili» che «va sempre valutato sapientemente, assumendo come paradigma del discernimento quello del servizio all’evangelizzazione». E come bussola propone un versetto della prima Lettera ai Corinzi: «“Tutto mi è lecito!”. Sì, ma non tutto giova». Il Papa mette in guardia anche dal «narcisismo» e dall’«egocentrismo». Quindi cita alcune «tentazioni» che possono far breccia in un prete, come le definisce: quella dell’«autoreferenzialità» che invece deve cedere il «passo alla logica dell’ascolto e del servizio»; quella dell’«individualismo» che «mal si coniuga con l’azione missionaria»; quella di «una mentalità efficientistica per cui il valore di ciascuno si misura dalle prestazioni, cioè dalla quantità di attività e progetti realizzati»; quella opposta che «si qualifica come una sorta di quietismo: spaventati dal contesto, ci si ritira in se stessi rifiutando la sfida dell’evangelizzazione e assumendo un approccio pigro e disfattista».
Da superare è anche «il modello di una leadership esclusiva che determina l’accentramento della vita pastorale e il carico di tutte le responsabilità affidate a lui solo, tendendo verso una conduzione sempre più collegiale, nella cooperazione tra i presbiteri, i diaconi e tutto il popolo di Dio», spiega Leone XIV. Perché, pungola, «nessun pastore esiste da solo». Più volte rilancia la «sfida della sinodalità» che «non elimina le differenze, ma le valorizza», che non fa perdere «nulla della sua importanza e attualità» al ministero ordinato e che, sintetizza il Papa, «rimane una delle opportunità principali per i sacerdoti del futuro». Alla logica del «primeggiare» contrappone quella del «rapporto con i fedeli laici»: ai preti il Pontefice dice di essere «fratelli fra i fratelli condividendo l’uguale dignità battesimale» e «unendo gli sforzi».
La Lettera non nasconde «la crisi della fiducia nella Chiesa suscitata dagli abusi commessi da membri del clero che ci riempiono di vergogna e ci richiamano all’umiltà», ma anche il «fenomeno di coloro che, dopo qualche anno o anche dopo decenni, abbandonano il ministero» e che il Pontefice chiama una «dolorosa realtà». La risposta da dare è «anzitutto un rinnovato impegno formativo» per ridire al Signore lo stesso “sì” del giorno dell’ordinazione. E poi il Papa avverte: «Solo presbiteri e consacrati umanamente maturi e spiritualmente solidi, cioè persone in cui la dimensione umana e quella spirituale sono ben integrate e che perciò sono capaci di relazioni autentiche con tutti, possono assumere l’impegno del celibato e annunciare in modo credibile il Vangelo del Risorto».
In quest’ottica Leone XIV ricorda l’importanza della «testimonianza di una vita sobria e casta» in mezzo «alla grande fame di relazioni autentiche e sincere che si riscontra nella società contemporanea». E raccomanda una giusta armonia fra contemplazione e azione. «Donarsi senza riserve - chiarisce - non può e non deve comportare la rinuncia alla preghiera, allo studio, alla fraternità sacerdotale». A preoccupare sono anche le «derive della solitudine che spegne lo slancio apostolico e può causare un triste ripiegamento su se stessi». Il Papa insiste più volte sulla «fraternità presbiterale» fondata nello stesso sacramento dell’Ordine che va ritenuta «come un elemento costituito dell’identità dei ministri». E, calandosi nel concreto, auspica che «in tutte le Chiese locali possa nascere un rinnovato impegno a investire e promuovere forme possibili di vita comune». Inoltre, fra i doni da «conoscere, valorizzare e sostenere», c’è quello del «ministero diaconale, specie quando viene vissuto in comunione con la propria famiglia», osserva il Pontefice.
Altra crisi presa in esame è quella delle vocazioni al sacerdozio. Essa «chiede a tutti una verifica sulla generatività delle prassi pastorali della Chiesa» e rimanda al «coraggio di fare ai giovani proposte forti e liberanti», scrive Leone XIV. Quindi lo sprone: «Ricordiamolo. Non c’è futuro senza la cura di tutte le vocazioni». E ai presbiteri affida le parole del Curato d’Ars, san Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci, secondo cui «il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù». Un amore così forte, conclude il Papa, «da dissipare le nubi dell’abitudine, dello sconforto e della solitudine».

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