Come funziona la memoria nel mondo digitale (e perché dovrebbe preoccuparci)
venerdì 3 gennaio 2020

Come funziona la memoria nel mondo digitale? La domanda non è certo nuova, ma resta di grande attualità. Perché provare a rispondere significa riflettere sul nostro presente e soprattutto sul nostro futuro. Ma anche perché su questo tema sembrano esistere due schieramenti opposti.
Secondo alcuni, infatti, la Rete produce ogni giorno così tanti contenuti (parole, immagini e suoni) da finire per travolgere tutto e tutti, al punto che niente sembra più avere valore. E che niente resta davvero, perché ogni cosa, ogni idea, ogni traccia si confonde con milioni di altre tracce e così alla fine si perde.
Secondo altri, invece, la Rete è una memoria collettiva potente e prodigiosa. Come non ci era mai capitato di avere. I fatti, i ricordi e tutte le cose ritenute importanti, fino a qualche tempo fa, erano solo quelle che venivano fissate nei libri, nelle memorie orali e nelle menti dei singoli, e che si tramandavano dagli adulti ai giovani, dai padri ai figli, da famiglia a famiglia, da gruppo a gruppo.
Oggi no: (quasi) tutto viene fissato; (quasi) tutto viene archiviato su un cellulare, un pc o un apparecchio digitale. E se pubblicato sui social o sul web viene "salvato" per sempre. È vero che il cosiddetto "diritto all'oblio" sta cercando di cancellare dalla Rete (quindi, dalla memoria collettiva) fatti importanti (di solito legati a procedimenti giudiziari), ma di fatto è spesso solo una cancellazione parziale. Quei dati spariscono dai motori di ricerca (e chi li cerca lì non li trova più) ma non dalla Rete. E chi sa come e dove cercarli, li trova e li troverà.
Pochi giorni fa sulla rivista Mit Technology Review (di proprietà del prestigioso Massachusetts Institute of Technology), Kate Eichhorn (professore associato di Culture and Media presso la New School di New York) ha pubblicato un interessante lavoro dedicato a questo tema e intitolato "Perché una Rete che non dimentica è particolarmente dannosa per i giovani".
«Fino alla fine del Ventesimo secolo – scrive Kate Eichhorn – la maggior parte dei giovani sapeva che qualunque suo comportamento imbarazzante o qualunque frase stupida o offensiva che avrebbe pronunciato nell'adolescenza, prima o poi sarebbe stata dimenticata». Oggi, invece, come sappiamo bene, ogni errore, ogni sciocchezza, ogni frase sbagliata di uno dei nostri ragazzi, se salvata anche solo una volta nel digitale, non si staccherà mai da lui e non sarà mai dimenticata. E non importa che molti giovani sembrino non rendersene conto: la Rete non dimentica e, quando meno se lo aspetteranno, qualcuno tirerà fuori quel post, quel filmato o quella foto che testimonia un pensiero o un'azione imbarazzante e per loro saranno guai.
Già oggi, soprattutto in America, è sempre più frequente il fatto che un ragazzo si veda rifiutare l'ingresso in una prestigiosa università o in un'azienda per colpa di qualcosa di sbagliato che ha scritto e postato anni prima.
Impegnati come siamo noi adulti in una giusto compito di vigilanza, con la complicità della memoria della Rete rischiamo però di fare danni non da poco. I bambini, gli adolescenti e i ragazzi, se sbagliano e lo meritano devono essere ripresi e puniti ma senza che ogni loro errore li perseguiti per tutta la vita.
Ad aggravare le cose c'è il fatto che il digitale ci ha fatto scoprire quanta parte di "sciocca adolescenza" alberghi ancora in tanti adulti, che nella vita come nei social hanno atteggiamenti, linguaggi e pensieri da ragazzini. Questa ondata di adolescenza perenne sta provocando molti danni. Il digitale, dal canto suo, sta amplificando anche a una sorta di ubriacatura di "giustizialismo da social", dove se un altro sbaglia deve essere immediatamente licenziato, cacciato, incarcerato e persino fatto fuori, mentre se chi sbaglia siamo noi o qualcuno dei nostri allora il mondo deve darci ogni attenuante possibile. Ma così rischiamo davvero di costruire una società sempre più ossessionata dagli errori altrui ma sempre meno giusta.

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