venerdì 23 gennaio 2009
«A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca». Con questa battuta - trasformata in massima del cinismo protetto - Andreotti non ha fatto un grande servizio alla buonafede. Sono un ammiratore del Divo Giulio, che ho avuto apprezzatissimo collaboratore quando dirigevo il "Quotidiano Nazionale" (i miei successori lo liquidarono), ma è incalcolabile il danno che ha fatto con un'affermazione, disinvolta e sagace, purtroppo spesso adottata da ignoranti e cialtroni.
Rispettoso al massimo della Buonafede, vi porto a fare alcune considerazioni sul «caso Kakà». La più parte di noi "sportivi" ha accolto favorevolmente la sua scelta di restare al Milan, e non solo per ragioni tecniche («Kakà è un patrimonio del calcio italiano»); come mi è capitato di dire e scrivere anche su queste pagine, il 26enne campione brasiliano ha conquistato tanta gente - e non solo nel mondo del calcio - per la sua faccia pulita, per la sua correttezza, l'una e l'altra non disgiunte da un serio impegno di vita anche in senso religioso.
Mi chiedo, dunque, perché non credere a una sua libera e consapevole «scelta di vita» diversa da quella di tanti suoi compagni (ricordo Gullit, con pena) che giustificavano la fine di un amore (pallonaro) con problematiche esistenziali mentre si capì in fretta che si trattava solo di calcoli monetari.
Dopo l'annuncio di Berlusconi, fatto lunedì sera al "Biscardi News" secondo antico cerimoniale, quante se ne son dette. Intanto, via tutti i «cattivi pensieri» della vigilia, quand'era certo che Kakà sarebbe andato a Manchester, e il gossip riguardava soldi soldi soldi: la bieca figura di papà Bosco, dipinto come una sanguisuga, lo stesso Kakà non più appartenente a Gesù ma al Denaro, insieme al "Rovinamilan" Galliani davano vita a una sciagurata Triade che Giraudo, Moggi e Bettega sembravan dilettanti.
Dopo il tribolato «no» al Manchester City e il sorridente annuncio del campione ("Ho ascoltato il mio cuore"), mentre noi del popolo calcistico, forse trinariciuti ma ancorati ad antichi sogni, a nostalgie di Riva, Rivera, Bulgarelli e pochi altri, eravamo in preda a forte commozione, ecco i sapientoni cinici e bari esibire tutti i loro "pensarmale".
Kakà ha detto no al City perché aspetta il Real Madrid, che a luglio avrà un nuovo facoltoso presidente; Berlusconi ha organizzato una colossale operazione di marketing su una richiesta inesistente per mettere in luce il Milan depresso; il Berlusca e i suoi compari hanno allestito una operazione politica inventandosi lo Sceicco Pallonaro per prendere voti a Milano (ho sentito anche questa); Kakà ha detto no perché voleva tutti per sé i diritti d'immagine; papà Bosco voleva una parte dei compensi in nero alle Cayman...
Potrei allungare il brodo della malafede ma mi fermo qui. Mi fermo a dire che l'aria del calcio è diventata irrespirabile perché nessuno mai apre una finestra sul vecchio cortile per rinfrescare l'ambiente, per ritrovare sentimenti perduti e quei personaggi che «Selezione» raccoglieva nella rubrica "Una persona che non dimenticherò mai".
Vorrei che Kakà non mi smentisse, che continuasse ad essere il ragazzo dalla faccia pulita, dai modi gentili, dai sentimenti raccomandabili a tanti come lui, soprattutto ai ragazzi cui quotidianamente sono offerti solo modelli negativi di Bulli & Pupe. Vorrei, anche per poco, vivere in un mondo in cui sia possibile dire che «a pensar bene si passa per sciocchi ma spesso ci si azzecca...».
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