Israele, guerra e “vendetta” biblica Attenzione a non appiccare incendi
martedì 20 febbraio 2024
Caro Avvenire, la guerra è spesso barbarie, ma la liberazione dei due ostaggi a Rafah di cui va fiero il premier Netanyahu mi sembra superare la barbarie. Raggiunti i due ostaggi israeliani, l'esercito ha compiuto un bombardamento di civili come copertura e diversivo per portarli in salvo, con forse cento morti. Netanyahu il suo modello lo ha indicato subito: «Va’ dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini» (I Samuele 15, 3). Giorgio Rinaldi Caro Rinaldi, la sua coincisa ricostruzione dei fatti di Rafah deve essere ancora suffragata da resoconti indipendenti, e io sarei più cauto nell’attribuire a Israele quella grave responsabilità. Ciò non significa minimizzare le violazioni del diritto internazionale umanitario compiute dall’esercito di Tel Aviv, che “Avvenire”, anche per la mia penna, ha più volte denunciato. Ma lei solleva un altro tema delicatissimo, quello delle supposte radici bibliche di una postura aggressiva oltre la misura della legittima difesa. Non voglio eludere l’argomento, ma premetto che lo spazio è poco e il rischio di semplificazione molto alto. Amalek, capostipite degli amaleciti che attaccano nel deserto il popolo liberato dall’Egitto (Esodo), è la personificazione del male che minaccia gli ebrei, e nella storia tutti i nemici più insidiosi sono stati identificati con tale metafora (compreso Hitler). La denuncia presentata alla Corte internazionale di giustizia da parte del Sudafrica per giustificare l’accusa di genocidio fa riferimento esplicito alla citazione dalla Torah del premier, poiché in Deuteronomio 25,19 si dice: «Cancellerai la memoria di Amalek sotto al cielo: non dimenticare!». La replica è stata che la frase «Ricordati di ciò che ti ha fatto Amalek» (due versetti prima) è riportata da anni sia al museo dell’Olocausto Yad Vashem sia al memoriale realizzato proprio all’Aja e non ha altri sottointesi. Benjamin Netanyahu è laico, ma il richiamo alla Tanàkh (la Bibbia ebraica) è ovviamente patrimonio identitario comune in Israele. Le pagine su Amelek hanno fatto scrivere moltissime opere esegetiche. Si va dall’idea che la damnatio memoriae sia un paradosso, oppure una figurazione dell’impossibilità di vincere la violenza con la violenza se non con il “libro” sacro, fino a un (minoritario) letteralismo, il quale sostiene le posizioni di alcuni fondamentalisti e coloni nei confronti dei palestinesi, nuovi “Amalek”. Molti, peraltro, hanno cercato di mettere il comando di vendetta, difficile da spiegare e da gestire, nel novero di ciò che si cerca di discretamente di ignorare, dato che la Scrittura non può essere emendata.
La componente religiosa - certamente anche sul versante islamico di Hamas - non è estranea al conflitto in corso e costituisce materia incandescente che sarebbe un errore ignorare ma una disgrazia enfatizzare in modo sbagliato. Papa Francesco sta compiendo, in linea con i suoi predecessori, un’opera epocale di neutralizzazione del potenziale d’intolleranza e ostilità delle fedi. E neppure il cristianesimo è stato immune dal virus della guerra santa. Accendere questa miccia, ci insegna la storia, significa avviare incendi che bruciano intere generazioni. Non possiamo che auspicare, con le parole del Salmo 37, che i giusti e i miti «possederanno la terra e godranno di una grande pace», sebbene la sfida dei violenti ci ponga ogni volta di fronte a un dilemma lacerante e non eludibile. © riproduzione riservata
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