venerdì 24 giugno 2016
Bisognava reagire presto, cinque secondi massimo. Non uno di più. Affidarsi al proprio istinto di sopravvivenza, non cedere al panico. Per non morire, forse, come nelle trincee di Ypres. Mancano una manciata di giorni all'alba del 20 marzo 2003, quando una coalizione multinazionale guidata dal presidente degli Stati Uniti d'America, George Walker Bush, avvia la seconda guerra del Golfo invadendo l'Iraq. Saddam Hussein è accusato di nascondere armi di distruzione di massa. Mai rinvenute, peraltro. Dal Tigri all'Eufrate, ci si prepara alla guerra. Si fa scorta di viveri, di acqua potabile, di candele. Anche di carta igienica. Intanto si appiccicano chilometri di nastro adesivo alle finestre per impedire l'esplosione del vetro quando missili balistici e aerei bombarderanno la capitale.La clessidra dei giorni consuma il tempo e le cassandre della guerra prevedono scenari apocalittici: «Saddam farà uso delle armi proibite, anche contro il suo popolo, pur di fermare l'invasore straniero». Incredulità mista a preoccupazione. Comunque, bisogna essere pronti a tutto. È semplice calzare una maschera antigas. L'importante è farlo presto, ma dopo avere indovinato il filtro più adatto alle sostanze letali che verranno disperse nell'aria. Ma come si fa a saperlo in anticipo? Il materiale e le istruzioni, ai giornalisti italiani presenti nella capitale irachena, è fornito da personale militare addetto all'ambasciata d'Italia a Baghdad. Maschera e filtri, tuta protettiva per i gas vescicanti, polvere decontaminante da passare sui guanti prima di usarli per togliere le protezioni. In caso di attacco chimico, la prima cosa da fare è dare l'allarme. Gridare: «Gas. Chiudere gli occhi, chiudere il naso e non respirare». Qualcuno sorrise. In caso di contaminazione, c'era l'atropina. Scartare la siringa, mantenendo il cappuccio giallo rivolto verso l'alto, ricordandosi dell'associazione colore giallo uguale a sole, e la protezione verde verso il basso, ricordando colore verde uguale a erba. Piantare l'ago nel muscolo di una gamba, respirare, se possibile, regolarmente, e premere lo stantuffo a fondo. Poi ricordare di piegare l'ago a uncino e agganciarlo a un'asola della giacca o della camicia per indicare a eventuali soccorritori che l'iniezione è già stata fatta.Tutto questo correre per la propria vita nella manciata di pochi secondi, scommettendo sul proprio sangue freddo e senza cedere al panico, doveva avvenire nella consapevolezza che era in corso un attacco chimico, gas nervino, paralizzante, in questo caso. Un gas che si disperde facilmente, certo, ma che è inodore. Quindi un agente subdolo che si fa sentire quando è già nel corpo con la comparsa di più sintomi: vista offuscata, vie respiratorie irritate, dolori al torace, nausea e vomito, convulsioni e perdita del controllo degli sfinteri. I gas mostarda, i gas «vescicanti», sono un'altra cosa, e agiscono rapidamente e non basta la maschera antigas, ma occorre indossare speciali tute di gomma, che hanno una «vita» di 72 ore, se piove ancora meno, poi il gas le scioglie, come l'«iprite» o il «Bx». Il primo odora di mandorle e il secondo ristagna nell'ambiente a lungo. Anche la maschera protettiva con i suoi filtri, ha i suoi limiti di efficacia. Un filtro per nervino muore dopo cinque giorni. Contro l'iprite, il filtro va sostituito ogni 43 ore, mentre sotto attacco con acido cloridrico, il filtro va cambiato immediatamente, dopo il primo respiro. E forse non si fa neanche a tempo a farlo. Cinque secondi. Non uno di più. A quel punto, ci fu chi smise di prendere appunti, chiuse il taccuino depose la penna biro nel taschino della giacca e si abbandonò a un sorriso. Manifestando la consapevolezza che era tutta una follia.
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