sabato 27 marzo 2004
Insegnaci, Signore, a sostenere il tuo silenzio, quando l'ombra s'addensa e il fuoco si spegne. Insegnaci a consumare l'attesa, per far sbocciare l'alba che ci aspetta. Insegnaci ad ascoltarti, tu che affiori sulle nostre labbra quando preghiamo. Insegnaci a parlarti: il fuoco sia sulla nostra lingua davanti alla notte. Insegnaci, Signore, a chiamarti Padre nostro: una preghiera che ha il sapore del pane, una preghiera che sia la nostra casa. Scelse come pseudonimo un nome emblematico, Pierre Emmanuel (1916-1984); questo poeta francese, si legò in tutta la sua opera a temi, simboli ed espressioni bibliche, proprio come per il suo nome d'adozione. Di lui ho citato questa preghiera dolce, litanica, scandita da quell'«Insegnaci!». Non c'è molto da aggiungere ai contenuti della supplica perché sono trasparenti e immediati; basti solo farli cantare nel cuore, anche con quella dose di sentimento che essi portano con sé.
Preferibile soffermarci, invece, proprio su quell'imperativo perché, non solo nelle cose di fede ma anche in quelle della vita, è sempre più difficile la disponibilità all'apprendimento e all'ascolto. Certo, ai nostri giorni sono rari anche i maestri autentici. Ricordo quello che aveva dichiarato un famoso docente di letteratura italiana, Gianfranco Contini (1912-1990), rispondendo a un'inchiesta sull'università: «Ogni
problema pedagogico è d'amore». Bisogna indubbiamente sapere per insegnare; ma non basta, sono necessari anche l'amore, la passione, la dedizione. Lo stesso apprendimento è un atto d'amore oltre che di intelligenza, soprattutto nella conoscenza della fede ed è per questo che bisogna avere un cuore forgiato dalla grazia, aperto dalla volontà, alimentato dalla passione d'amore.
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