martedì 23 maggio 2017
Magari fosse l'altra utopia realizzata. I più poveri del pianeta seduti al tavolo dei potenti a Taormina per il prossimo vertice dei Sette Grandi. Invitato il presidente del Niger Issoufou Mahamadou dall'ambasciatore francese con sede a Niamey. A Genova, nel triste vertice del 2001 con l'Africa nell'agenda, avevano pescato tra gli altri AbdoulayeWade (Senegal) e Olusegun Obasanjo (Nigeria). Questo per dare una nota di colore al pallore dell'ambiente, rovente nelle piazze e silenzioso sulla nave ancorata lontano sul mare. Magari fosse per cambiare la rotta della piccola storia trasformata in cronaca di questi tempi. Un posto a tavola per il penultimo Paese della classifica sullo sviluppo umano. I riflettori sulle cause profonde della povertà e della mendicanza del Sud del pianeta e dell'Africa Sub-Sahariana in particolare. Il G7 più il Niger, fa sempre lo stesso risultato: Sette Grandi e un ostaggio delle politiche migratorie dell'Europa. Il posto a tavola aggiunto è precario come la vita quotidiana del Niger, di cui il Presidente non rappresenta per nulla la realtà.
Magari non sarà colpa sua per i 180 morti di meningite (quasi la metà bambini) da gennaio a oggi. La capitale Niamey dove abita è stata tra le zone più colpite. Fortuna che una pioggia ha forse scongiurato il peggio, avvenuto nel 2015, dove i morti riconosciuti dalle autorità erano stati 577. Neppure colpa sua le carestie ricorrenti, non riconosciute e poi pubblicizzate per la raccolta di aiuti umanitari. Gli scioperi degli insegnanti, degli studenti, degli scolari, dei medici, degli avvocati, dei giornalisti e, con ogni probabilità del sabbioso Dio del Niger. Difficilmente salvabile appare, comunque, per gli arresti di attivisti di diritti umani, oppositori politici, comici e sindacalisti. Una lista a tutt'oggi aperta come lo scandalo della compagnia francese Areva. In ballo la compravendita clandestina di uranio con ministri di Stato e affiliati al partito. Raddoppia in qualche anno il patrimonio personale denunciato per obbligo di legge all'inizio del primo mandato presidenziale. Viaggia con un aereo usato, eppure costato un occhio della testa, e inaugura una centrale elettrica che nulla toglie al fascino delle notti di Niamey.
Magari sa perché i Sette autonominatisi Grandi lo invitano a tavola con tutti gli onori per qualche giorno. Patti chiari e amicizie lunghe. Lo sa bene anche lui che dei migranti e delle frontiere ha fiutato il business. Come dargli torto. Coi migranti (che se ne rendano conto o meno, che ci marcino o no) ci guadagnano tutti e ci vivono in tanti. E alcuni traggono da loro imperitura gloria umanitaria. L'Oim, che ha almeno due facce, coraggiosa e al guinzaglio, le varie Agenzie Europee tipo Frontex (esternalizzazione delle frontiere per filtrare gli indesiderabili) ed Eucap, che a colpi di milioni colonizza la visione della frontiera come sicurezza per i potenti. Poi tutti quelli che dei migranti e delle frontiere fanno incetta, e guai a chi tocca gli affari loro: le mafie questo lo hanno capito da tempo, nel Mediterraneo, in Italia come in Libia. Formano e pagano guardacoste, guardiacaccia e guardie di campi di concentramento umanitario dove si organizzano occasionali voli di ritorno accompagnato. Lui, il Presidente lo sa, e ha chiesto milioni e miliardi per salvare vite umane che prima neppure vedeva.
Magari gli verranno fatte felicitazioni per la fattiva collaborazione offerta. Per la disponibilità ad accogliere droni, militari francesi, americani, tedeschi, cinesi (che non mancano mai) e probabilmente anche italiani per controllare le frontiere libiche. Sarà persino applaudito quando darà le dovute garanzie ai Sette Grandi che lo onoreranno delle briciole, migrate nel frattempo dal tavolo.
Niamey, maggio 017
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