sabato 1 febbraio 2003
Ègiunto un pellegrino alla mia porta./ Ho preparato la mensa col pane e col vino/ e l'angolo nascosto per ascoltare la musica./ Egli mi ha benedetto nel nome della Trinità/ con la casa, l'ovile e i miei cari./ L'allodola ripete nel suo canto:/ sovente, sovente passa Cristo/ in veste di pellegrino. Questa è la traduzione di un antico testo gaelico, la lingua celtica che dall'Irlanda nel V sec. d.C. è stata importata nella Scozia. Sono parole molto semplici e intense che esaltano una virtù cara alla Bibbia e, purtroppo, spesso violata ai nostri giorni, quella dell'ospitalità e dell'accoglienza. Vorrei proporre tre osservazioni su questi versi, tenendo comunque fermo il tema capitale a cui si è accennato. Innanzitutto all'ospite non viene offerto solo il pane e il vino, cioè il cibo della sopravvivenza, ma anche «l'angolo nascosto per ascoltare la musica». È il dono di un altro alimento, quello dello spirito e della mente, è lasciare uno spazio libero perché l'ospite possa ritrovare se stesso, il suo mondo, la sua intimità. L'altra osservazione riguarda la benedizione del pellegrino che, ricambiando il dono, auspica felicità anche per l'ovile: Dio benedice il giusto nella sua famiglia, ma si china e valorizza anche la materialità. Il cristianesimo in particolare è una religione "incarnata" nel senso pieno del termine. Infine, l'allodola - che è quasi la voce di un angelo - ci ricorda: dietro i lembi spesso miseri dello straniero che ti chiede ospitalità c'è «Cristo che passa in veste di pellegrino». Ritornano idealmente le parole dello stesso Gesù: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Matteo 25, 40).
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