In canonica anche i parenti
giovedì 16 marzo 2006
Un occhio di riguardo dell'Inps verso i parenti del sacerdote. Il "don" che si avvale del lavoro domestico della madre o della sorella o di altra parente entro il terzo grado, è per la previdenza al di sopra di ogni sospetto.
In genere, quando risulta un vincolo di parentela tra la colf e il suo datore di lavoro, l'Inps dubita della regolare esistenza del rapporto di lavoro, data la facilità con cui queste situazioni possono creare diritti fittizi per la pensione. Tuttavia la domanda di assicurazione all'Inps non viene rigettata, ma a patto di provare l'esistenza del rapporto di lavoro. Per questo, all'atto dell'iscrizione, è sufficiente autocertificare il rapporto di lavoro, attraverso la dichiarazione di responsabilità presente sul modulo di iscrizione (mod. LD09). Gli uffici dell'Inps possono in seguito ricorrere ad accertamenti e a convocare gli interessati. L'onere della prova - puntualizza l'Inps - non è richiesto quando l'attività domestica sia prestata "in favore di ministro del culto cattolico appartenente al clero secolare".
Così si esprime la recente circolare Inps n. 19/2006. Merita apprezzamento il riguardo dell'Istituto verso i sacerdoti datori di lavoro, ma l'ente non tiene conto che anche ministri del clero regolare, cui sia affidata la conduzione di parrocchie o di altri organismi ecclesiastici, possono usufruire, a parità di condizioni, del lavoro domestico di propri familiari. La parità di trattamento tra clero secolare e clero regolare dovrebbe essere acquisita dall'Inps come norma di principio, indipendentemente dalla frequenza dei casi concreti.
Conventi e seminari. Anche le comunità religiose, qualunque sia il numero dei componenti, possono essere considerate datori di lavoro domestico. Per principio, la legge riconosce questa qualità soltanto alle persone fisiche. Solo come eccezione i conventi, i seminari, gli orfanotrofi, i ricoveri per anziani a regime assistenziale, altre convivenze di tipo familiare, sono ammessi come datori di lavoro domestico. È un favore riconosciuto già diversi anni fa, in coda alle contestazioni dell'Inps sulle assicurazioni sociali dei membri degli ordini religiosi, concluse con il riconoscimento della assoluta esenzione "a motivo di religione". L'Istituto ritorna ora sull'argomento per richiamare i "paletti" della facilitazione per il lavoro domestico nelle convivenze familiari.
Per rientrare nella categoria del lavoro domestico, è indispensabile che si tratti di una convivenza tra persone non legate da vincoli di sangue, che sostituisca la famiglia di provenienza degli ospiti, sia sotto il profilo morale sia organizzativo. Perché si possano applicare le norme proprie degli addetti ai servizi domestici, le comunità religiose che utilizzano questi lavoratori devono rivestire il carattere di "convivenza di tipo familiare" diretta ad appagare, in forma comune, quelle consuete esigenze di servizi domestici che sono elementi distintivi della vita di una famiglia.
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