Un tempo la pensione di invalidità era diversa. L’Inps negava il pagamento dell’assegno quando l’interessato, malgrado una invalidità accertata dai medici, poteva proseguire un’attività lavorativa confacente. Un classico esempio: a Milano un portiere invalido non riceveva la pensione perché poteva facilmente rioccuparsi essendo numerosi i condomini in città. A Matera invece lo stesso portiere riceveva l’assegno mensile perché non avrebbe trovato una occupazione in un settore immobiliare decisamente ridotto. Evidente come quelle valutazioni si prestavano a differenze inaccettabili. La riforma Dini del 1995 ha messo ordine nel settore, confermando una precedente legge del 1984 per cui si accerta l’invalidità solo per le condizioni fisiche del lavoratore e secondo la gravità del caso: a una incapacità lavorativa ridotta (tra il 66% e il 99%) corrisponde un “assegno di invalidità” temporaneo, mentre per una incapacità assoluta (100%) una “pensione di inabilità” definitiva, sostenuta da un aumento gratuito di contributi e un’indennità di accompagnamento. Da allora l’invalidità secondo la riforma ha fatto testo per tutti gli altri fondi pensionistici (comprese le casse dei liberi professionisti) che si sono così “armonizzati” al sistema generale. La distinzione universalmente acquisita tra “invalido” e “inabile” ha investito anche il Vaticano. Un Rescritto papale dell’11 agosto scorso ha migliorato le provvidenze per la famiglia con nuove norme per il permesso di paternità e per l’assegno familiare. Una salute precaria dei minori coinvolti in questi benefici deve tener conto della distinzione tra la “disabilità” diversa dalla “inabilità”. La prima comporta una grave limitazione delle funzioni fisiche/psichiche e una eventuale assistenza personale. L’inabile, invece, è «in permanenza impossibilitato a svolgere qualsiasi lavoro proficuo regolare e continuativo». Ma anche per i trattamenti di pensione il Vaticano distingue una “pensione di inabilità” per i dipendenti dispensati per infermità, che diventa “privilegiata” se è per causa di servizio. Distante anni luce dalla previdenza universale (e dalle garanzie della Costituzione) resta il Fondo Clero, nel quale l’invalidità è ancorata ad un accertamento generico che non distingue una piccola infermità da uno stato di salute gravemente compromesso.
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