Il «Requiem» senza speranza di Kurt Weill e Bertolt Brecht
domenica 4 novembre 2007
Das Berliner Requiem rappresenta uno degli esiti più significativi del lungo e collaudato sodalizio artistico che ha legato il compositore Kurt Weill (1900-1950) al poeta Bertolt Brecht e da cui sono nati lavori come Ascesa e rovina della città di Mahagonny, I sette peccati capitali e soprattutto la celeberrima Opera da tre soldi. Commissionata dalla Radio di Francoforte e concepita nel 1929, la partitura del Requiem è destinata a un organico alquanto inconsueto ma perfettamente in linea con gli adattamenti che il musicista tedesco ha approntato per i testi brechtiani, affiancando alle voci soliste di tenore e baritono un coro maschile, un'orchestra di fiati (con due sassofoni), banjo, chitarra, organo, contrabbasso e percussioni.
Accompagnato dall'ensemble strumentale Musique Oblique e dal Coro della Chapelle Royale, il direttore belga Philippe Herreweghe si è totalmente immedesimato con l'inquietudine del segno compositivo di Weill per affrontare il caleidoscopio stilistico che caratterizza il Berliner Requiem, dove forme e linguaggi della musica colta si riflettono nei moduli di quella di consumo, tra atmosfere da caffé-concerto e cabaret (cd pubblicato da Harmonia Mundi e distribuito da Ducale). Su un cupo fondale che rappresenta la scenografia ideale dei sei riquadri in cui si struttura l'opera (i Grandi Inni di Ringraziamento iniziale e finale, la Ballata della fanciulla annegata, Martiri / Epitaffio e le due Leggende del Milite Ignoto), si leva alto un grido di denuncia: un atto di accusa contro una società irrimediabilmente corrotta e malata, minata da un crollo di valori che sta culminando nella totale disgregazione dell'individuo. Contrappuntati dagli interventi del coro, il tenore Alexandre Laiter e il baritono Peter Kooy diventano così le voci narranti di una tragedia annunciata, insinuandosi tra melodie grottesche che rievocano la crisi d'identità di una Germania ormai sul baratro della dittatura nazista. E il Requiem di Weill si impone come la testimonianza emblematica, volutamente laica e profana, delle profonde lacerazioni che hanno solcato la storia del Novecento: una commemorazione pagana a cui mancano del tutto i toni fiduciosi della preghiera e che sembra non conoscere le note della speranza.
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