Don Giuseppe, papà e vedovo: «È la fedeltà del matrimonio a sostenere ora il mio ministero»
Dopo aver perso la moglie il cammino con la Fraternità di Emmaus verso il sacerdozio. «Mi sento ancora unito con Giusy in Dio. Lei mi è ancora accanto»

Giuseppe Cutolo, 59 anni, napoletano, vedovo e padre di due figli, il 7 dicembre è stato ordinato qualche settimana fa sacerdote per la Diocesi di Pompei. Direttore amministrativo presso la Procura di Napoli, dopo la morte della moglie Giusy, avvenuta nel 2009, ha intrapreso un intenso cammino di fede all’interno della Fraternità di Emmaus, dove ha scoperto la chiamata alla consacrazione e poi al sacerdozio. Oggi vive la sua vocazione intrecciandola con la fedeltà al matrimonio, convinto che l’amore coniugale non si interrompa con la morte ma trovi compimento in Dio. I figli, ora di 27 e 22 anni, lo sostengono con gioia in questa scelta di totale donazione.
Partiamo dall’inizio: come è nata la sua storia con Giusy?
«Io e Giusy ci siamo conosciuti nei primi anni Novanta, in un gruppo giovanile francescano. È stato un amore autentico, semplice e profondissimo. Non abbiamo perso tempo: nel 1994 ci siamo sposati. La nostra vita scorreva serena, tra lavoro, casa, impegni di parrocchia. La nascita dei nostri due figli aveva completato ciò che consideravamo un sogno di famiglia».
Poi la prova della malattia.
«Sì. Subito dopo la nascita del nostro secondogenito, nel 2003, è arrivata la malattia di Giusy, un linfoma non Hodgkin. È stato uno sconvolgimento. Quel matrimonio, costruito su tanti progetti, si è trovato improvvisamente segnato dal dolore. La malattia prima, e poi la morte di Giusy nel 2009, hanno fatto crollare tutto ciò che avevo immaginato. Solo dopo ho capito che in quel dolore Dio stava lavorando silenziosamente nella mia vita».
Cosa è accaduto dopo la sua morte?
«Ripensandoci oggi posso dire che il Signore ha fatto meraviglie, anche attraverso il mio smarrimento. In un periodo turbolento ma pieno di preghiera, ho capito che dovevo fidarmi di Lui. E che avrebbe indicato una strada nuova non solo per me, ma anche per i miei figli, che allora avevano undici e sei anni».
Com’è arrivato alla Fraternità di Emmaus?
«Anni prima ne avevo sentito parlare, ma senza approfondire. Solo più tardi ho capito che quel “seme” era stato messo lì da Dio. Ricordai un membro della Fraternità, lo contattai e gli aprii il cuore. Fu lui a farmi incontrare don Silvio Longobardi. Da quel momento è iniziato per me un cammino spirituale pensato proprio per gli sposi vedovi, una novità assoluta all’interno della Fraternità. La vedovanza, vissuta in Cristo, diventa attesa del compimento, un “per sempre” in Dio. È stato un cammino ricco di frutti».
Eppure questo non bastava ancora...
«È vero. Dopo un anno e mezzo rimaneva in me un’inquietudine profonda. Fu allora che mi venne proposto un percorso di discernimento vocazionale, per capire se fossi chiamato a un “oltre”: la consacrazione verginale e poi la chiamata al sacerdozio. Con l’aiuto dell’arcivescovo di Pompei, Tommaso Caputo, che ha sostenuto e indirizzato i miei passi piano piano e con il pieno appoggio dei miei figli e dei miei suoceri ho intrapreso il percorso verso l’ordinazione presbiterale. Mi ha sostenuto l’affetto e la preghiera della Fraternità di Emmaus».
Ha vissuto un dolore profondo. Cosa direbbe a chi sta affrontando un lutto simile?
«Quando la sofferenza entra in una famiglia sembra di vivere un incubo. Ci sentiamo impotenti. Anch’io ho sperato fino all’ultimo, cercando di rimandare quei conti che prima o poi bisogna fare. A volte non c’è neppure il tempo di sistemare o dire tutto. È una ferita tremenda, e la fede inizialmente si riduce a domande essenziali: “Perché? Perché a me?”. Ma è proprio lì che Dio può operare un miracolo nuovo: non quello della guarigione fisica, ma quello del risveglio del cuore. Io mi sento ancora legato a Giusy e sarò sempre il suo sposo. L’anello che porto: le due fedi nuziali intrecciate, con un giglio che rappresenta la verginità, sono il segno di questo legame. Io e Giusy siamo ancora uniti in Dio. Lei vive già nell’eternità, io cerco di raggiungerla camminando nella fedeltà e nella donazione al Signore. Spero che anche lei dal Cielo benedica i miei passi da presbitero perché possano portare frutti fecondi di amore verso i fratelli, specie i più dimenticati».
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