mercoledì 18 novembre 2009
«La guerra identitaria del crocifisso»: ieri ("Repubblica", p. 32) ampia riflessione di Stefano Rodotà che ci dice quanto sia opportuno e giusto il decreto da Strasburgo, detto impropriamente «europeo», per cui l'esposizione del crocifisso violerebbe i diritti umani. Lui naviga sottile tra diversi sensi del famoso detto crociano per cui «non possiamo non dirci cristiani», poi cita il libro "Lo scisma", sull'oggi della Chiesa cattolica, osservando che «in questa discussione» sono state «tagliate molte lingue» ai «cattolici senza Papa», tanti per lui, che approverebbero la stessa sentenza. Rodotà solenne e sottile come sempre, ma poi annota che le statistiche attuali dicono che l'84% dei cittadini, e tra essi il 70% degli stessi che si dicono «laici» - «numeri» eloquenti già letti anche sul "Corsera" (8/11, p. 8) - vorrebbero che il crocifisso restasse. Leggo e su "Repubblica" (10/11, p. 1) ripesco un pensoso Michele Serra " tra tanti dissensi lo stimo da sempre " che cita convinto il segretario del Pd Pierluigi Bersani: «Non può dirsi popolare un partito che non riesce a parlare con chi guarda Rete 4». Pare giusto anche a me, che però ripenso a quei «numeri» e " anche a titolo di puro interesse politico " mi chiedo se sia logico che la pur timida voce del segretario stesso, per cui «quel crocifisso non offende nessuno», sia poi stata sommersa nel Pd, in pagina e nell'etere, da un concerto univoco di voci contrarie. Può dirsi, ed essere, veramente «popolare» un partito che dà sempre ragione ai Rodotà, o anche agli Augias, contro l'84% " molto più di «chi guarda Rete 4», Ndr " del suo pur potenziale «popolo»?
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